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mercoledì 31 ottobre 2007

Appunti di Diritto Fallimentare

Diritto Fallimentare – Prof. Castagnola

Lezione 3/10/06

Il Processo di Esecuzione Individuale è lo strumento giudiziale utilizzabile da un creditore per ottenere il soddisfacimento del proprio credito attraverso l’esecuzione sui beni del debitore.
Questo strumento può essere adoperato anche per l’ottenimento di un solo bene su cui soddisfarsi e ne possono essere utilizzati molteplici in funzione del numero di beni esecutabili.
Nel momento in cui un bene viene pignorato, il giudice ingiunge al debitore di non disporre del bene oggetto di garanzia reale. Qualora quest’ultimo dovesse disporne, commetterebbe un reato e produrrebbe un atto inefficace nei confronti del creditore garantito.
Non esiste un sistema di pubblicità dei processi di esecuzione individuali: il creditore, una volta ottenuta la sentenza del giudice non è detto che possa soddisfarsi (attraverso l’esecuzione forzata posta in essere dall’autorità giudiziaria) su beni che non siano già stati pignorati da altri creditori a sua insaputa.

Processo Esecutivo Collettivo Concorsuale è il FALLIMENTO.
Normativa di riferimento: “Legge fallimentare” R.D. 16 marzo 1942 n. 267, “Riforma Legge Fallimentare” in vigore dal 16 luglio 2006
La differenza con il processo di esecuzione individuale risiede principalmente nell’attributo “concorsuale”: infatti, mentre secondo la regola generale del fallimento i creditori concorrono congiuntamente alla spartizione dei proventi della liquidazione e, solo in specifici casi, concorrono separatamente, nel processo di esecuzione individuale si verifica l’esatto contrario.
Oggetto della sentenza dichiarativa di Fallimento è l’intero patrimonio dell’imprenditore commerciale, non i singoli beni.
Da quanto detto, risulta chiaramente il “Principio di Universalità Soggettiva ed Oggettiva” del Fallimento: 1 solo Fallimento per tutti i creditori e comprendente tutto il patrimonio.

Mentre in molti Paesi (USA, Germania, Francia…) puo’ essere dichiarato fallito anche il comune cittadino, nel nostro ordinamento occorre la coesistenza di due requisiti (soggettivo e oggettivo).
Fallisco solo se sono:
Imprenditore Commerciale (requisito soggettivo)
Insolvente (requisito oggettivo)
(Normative specifiche di settore derogano dai sopracitati requisiti concedendo il fallimento in presenza di situazioni particolari e speciali)

Lezione 4/10/06

Il Fallimento è un procedimento che comporta conseguenze dure per il debitore e ha come fine la soddisfazione dei creditori. Liquidato il patrimonio e soddisfatti (per quanto possibile) i creditori si verifica l’estinzione dell’impresa.

Accanto al fallimento, il nostro ordinamento prevede altre Procedure Alternative Minori:
Concordato Preventivo
Contenuto nella Legge Fallimentare e riformato nel Marzo del 2006
Si tratta di una procedura che permette all’imprenditore di evitare il fallimento e che mira non alla soddisfazione dei creditori (come il fallimento stesso) ma al risanamento dell’impresa.
Si tratta di un Accordo stretto tra l’imprenditore in crisi (non ancora insolvente) e la maggioranza dei creditori (l’eventuale minoranza è costretta ad adeguarsi, vale il principio maggioritario). Eventuali creditori chirografari non partecipano alla votazione sul concordato in quanto i loro crediti devono comunque essere soddisfatti al 100%.
L’accordo può essere di tre tipi:
a. C.P. Dilatorio: il debitore si impegna a saldare in un tempo più lungo
b. C.P. Remissorio: il debitore salda subito per una cifra in % minore (“sconto”)
c. C.P. Dilatorio e Remissorio: Il debitore si impegna a saldare in un tempo più lungo una cifra inferiore a quella dovuta
Il più utilizzato è il terzo tipo di concordato preventivo.

Una volta concluso l’accordo (il cui contenuto non è prefissato) fra l’imprenditore e i creditori, l’accordo stesso deve essere sottoposto a “Giudizio di Omologazione” da parte del Tribunale.
Prima della riforma, il giudizio del Tribunale riguardava la “convenienza” dell’accordo. Il Legislatore intendeva così proteggere il creditore da accordi stretti in situazioni di reale pericolo (legislatore/padre).
Con la riforma del marzo ’06 il Giudizio di Omologazione è divenuto mero giudizio di Fattibilità: il Legislatore ora ritiene che le ponderazione del creditore non debba più essere rivalutata dal giudice (“Se va bene per il diretto interessato…”).
Ora, il Concordato preventivo è un beneficio per tutti gli l’imprenditori! Prima del 2005 l’imprenditore doveva essere giudicato meritevole.
Se il Concordato preventivo viene Approvato, Omologato e Eseguito, l’imprenditore rientra “in bonis”. In caso contrario, quasi certamente finirà per dover chiedere il fallimento.

Amministrazione Controllata (abrogata nel 2005)
Accordo a contenuto unicamente Dilatorio e non sottoposto a Omologazione da parte del Tribunale.
Eliminata dall’Ordinamento in quanto non portava al risanamento dell’impresa (obiettivo per il quale era stata introdotta) essendo richiesta sempre in ritardo con il solo fine di posticipare il fallimento.

Liquidazione Coatta Amministrativa
Contenuta in generale nella “Legge Fallimentare” e utilizzabile secondo quanto previsto dalle leggi speciali dei vari settori (Bancario…)
E’ uno strumento che non evita il fallimento (come il concordato preventivo) ma si limita a sostituirlo. L’imprenditore la cui impresa viene sottoposta a LCA sfugge al nome di fallito ma non alla sostanza…
Sia il fallimento che la LCA sono procedure liquidatorie e (se il fallimento è chiesto dai creditori) coatte. Ma la differenza tra le due consta nel fatto che la LCA è sottoposta all’azione della PA.
Fine della LCA è la Liquidazione dell’Impresa (Ente) e non la soddisfazione dei creditori.
E’ il Governo (tramite il ministro competente) a dichiarare la LCA quando le leggi speciali in materia stabiliscano che una data impresa debba essere sottoposta a LCA.
La LCA viene dichiarata quando, a versare in una situazione fra quelle previste dalle leggi speciali in materia, sia un’impresa a carattere pubblico o di interesse generale (Banche, Assicurazioni…) cosicché sia direttamente la PA a controllare le operazioni di liquidazione.
Importante: L’impresa sottoposta a LCA può essere insolvente ma anche non avere problemi di solvibilità (ma di legalità generale… impresa illegale)!
Strumenti utilizzabili nei 2 casi
Impresa (Ente) Insolvente: la LCA viene dichiarata giudizialmente, si applica la revocatoria e le norme penali riguardanti la bancarotta.
Impresa (Ente) Non Insolvente: la LCA viene dichiarata ma non si applica la revocatoria ne le norme penali riguardanti la bancarotta.

Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi (Abrogata nel 1999)
Legge Prodi 1979
Era uno strumento sostitutivo del fallimento creato per ridurre l’allarme sociale dovuto ai numerosi licenziamenti derivanti dallo shock petrolifero.
Veniva definita “grande” l’impresa rientrante in parametri fissati in un numero elevato di dipendenti e un’elevata quantità di debiti.
Qualora ci si fosse trovati in presenza di un’impresa avente queste caratteristiche in in fase di crisi, l’Amministrazione Str. prevedeva la nomina di un Commissario Straordinario con il compito di predisporre un “piano di risanamento” con 2 obiettivi:
a. Mantenimento Occupazione (a tutti i costi!)
b. Soddisfacimento Creditori (in secondo piano…)
Qualora il risanamento non fosse avvenuto (e quasi mai avvenne) l’impresa entrava in LCA e non in fallimento poiché sia l’Amministrazione Str. che la LCA sono 2 procedure amministrative.
Il piano del commissario era sostenuto da fondi statali e forti esenzioni fiscali; proprio per questo motivo, questo strumento è stato abrogato nel 1999 in quanto contrastante con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato.
L’Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi è stata sostituita con…

Ammistrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Insolvenza
Istituita con D.Lgs 270/1999
Modifica l’impostazione della Legge Prodi: il risanamento viene tentato solo se vi è possibilità di ripresa; in caso contrario si procede al fallimento.
Ai sensi del d.lgs 270/99, possono fregirsi dell’attributo “grande” le imprese con più di 200 dipendenti e un dato rapporto tra attivo e fatturato.
Di fronte ad una (grande) impresa in insolvenza, questa viene dichiarata. Viene nominato giudizialmente un commissario con il compito di verificare le possibilità di risanamento.
La verifica del commissario viene ulteriormente controllata dal tribunale (periodo di osservazione)! In questo procedimento il giudice ha un ruolo chiave per quanto attiene la tutela dei creditori: qualora le possibilità di ripresa indicate dal commissario non trovino il convincimento del giudice, il tribunale negherà l’Amministrazione Str. aprendo la strada al fallimento. Qualora invece il giudice si convinca delle possibilità indicate dal commissario confermandole, l’impresa entrerà in Amministrazione Str.
Il risanamento non viene dunque perseguito a tutti i costi! Qualora questo non sia possibile, il fallimento permetterà ai creditori di soddisfare i loro crediti.
Nell’Amministrazione Str. il tribunale contempera le esigenze creditorie con la possibilità di mantenimento dei livelli occupazionali. Il Giudice tutela dunque i dir. Soggettivi dei creditori.

Nel Dicembre del 2003 scoppia la crisi Parmalat: dati gli ingenti debiti della società il risanamento non sarebbe stato possibile e, ai sensi del d.lgs. 270/99, il tribunale non avrebbe mai concesso l’Amministrazione Straordinaria aprendo la porta al fallimento di una impresa con un elevatissimo numero di occupati… e allora il legislatore…

Amministrazione Straordinaria delle Imprese Grandissime
D.L 347/2003, L.Conv. 39/2004
Requisiti:
a) > 1.000.000.000€ di debiti (Ridotti poi a 300.000.000€, crisi Volare)
b) > 1.000 dipendenti (Ridotti poi a 500, crisi Volare)
Con l’Amministrazione Str. per Imprese Grandissime viene eliminato il periodo di osservazione del tribunale: viene escluso (si ritorna al concetto della Legge Prodi del ’79) il ruolo del giudice come garante dei dir soggettivi (dei creditori) e la PA detiene un controllo unico del procedimento. Il Governo nomina un Commissario Straordinario (Bondi nel caso Parmalat) con l’obiettivo del risanamento dell’impresa e del mantenimento degli occupati.


Lezione 5/10/06

Solo l’Imprenditore Commerciale è sottoponibile a procedura fallimentare.
Chi è l’Imprenditore Commerciale?
E’ Imprenditore Commerciale chi è Imprenditore (ai sensi dell’art. 2082cc) e Commerciale (secondo l’art 2195cc): Non fallisce l’Imprenditore Agricolo! La posizione più largamente condivisa ritiene inoltre che tutto ciò che essendo Impresa non può essere intesa come I. Agricola, allora è I. Commerciale e, se insolvente, può essere sottoposta a fallimento.
Impresa Commerciale (2195) = Impresa (2082) – Impresa Agricola (2135)
L’inadempimento dell’iscrizione nel registro delle imprese non impedisce all’imprenditore di divenire tale: è imprenditore chi lo è di fatto, sia che non sia iscritto sia che la sua impresa abbia carattere illecito!
Non danno luogo, invece, a Impresa Commerciale le Attività Professionali Intellettuali (ad esempio, studio legale e medico) nelle quali si fornisce un servizio che è strettamente legato alle competenze intellettuali del prestatore: uno studio legale può divenire Impresa Commerciale qualora il titolare smetta di fornire direttamente consulenze per dedicarsi unicamente ad un ruolo manageriale e di gestione dell’attività.
Quando inizia l’Attività d’Impresa?
Vi è una sostanziale distinzione (peraltro non certa) tra Atti di Organizzazione (ad esempio:
affitto locali, assunzione primo personale, acquisto arredamento…) e Atti di Gestione (conduzione dell’attività intesa come prestazione del servizio/fornitura del bene).
Gli Atti di Organizzazione non danno luogo ad Attività d’Impresa mentre sono gli Atti di Gestione a decretarne l’avvio e ad attribuirne all’Imprenditore la qualifica. Resta però il fatto che non vi è una distinzione netta e precisa fra i due tipi di atti… incertezza!
Quando cessa l’Attività d’Impresa?
Nel nostro Ordinamento, l’Impresa cessa formalmente di esistere con la cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese. Entro un anno dalla cancellazione può però essere dichiarato con sentenza il fallimento dell’(ex) imprenditore (art. 10, l.fallim.). La dichiarazione di fallimento non è retroattiva, producendo i suoi effetti dalla dichiarazione della stessa. Nel caso di cessazione di c.d. società di fatto (società non iscritte al registro delle imprese) non esiste un termine temporale entro il quale possa essere dichiarato il fallimento, bensì è sempre pronunciabile.
Sia il Creditore che il Debitore possono però dimostrare che l’effettiva cessazione dell’attività d’impresa sia avvenuta in un tempo posteriore (per il creditore) o anteriore (per il debitore) alla data di cancellazione dal registro: così operando si ottiene uno slittamento del termine di un anno per il fallimento o un suo anticipo… Il tenore dell’art.10, l.fallim. contiene questa possibilità solo per il creditore ma la sua formulazione ne permette un’estensione anche al debitore.

Lezione del 10/10/06

Sebbene la Legge Fallimentare (1942) fosse stata pensata per l’Imprenditore individuale, le disposizioni contenute sono in gran parte applicabili anche all’Imprenditore Collettivo.
Qualora siano insolventi, sia l’imprenditore individuale che l’imprenditore collettivo(soc. di persone/capitali) sono soggetti a fallimento. Unicamente la società semplice che eserciti attività agricola non fallisce (qualora eserciti attività commerciale fallisce poiché la veste soccombe alla sostanza).
Nelle soc. di capitali i soci hanno di solito resp. Limitata e possono essere chiamati soltanto ad eseguire i versamenti ancora dovuti per le quote o azioni sottoscritte. Il versamento, in base all’art. 150, può essere ingiunto dal giudice delegato su proposta del curatore ai soci ed anche ai precedenti titolari delle quote (è impugnabile nelle forme e nei termini previsti dal c.p.c. per l’opposizione ad ingiunzione). Eccezionalmente il socio di società di capitali può essere illimitatamente responsabile dei debiti della società e tale responsabilità può essere istituzionale (azionista accomandatario) od occasionale (unico azionista e quotista). Precedentemente alla riforma era controversa la configurabilità della responsabilità illimitata occasionale per quel che riguardava l’estensione al socio unico azionista e quotista: oggi la riforma ha statuito, recependo l’orientamento della giurisprudenza di cassazione, che la SddF di società snc, sas e sapa produce il fallimento dei soci illimitatamente responsabili. Avendo la riforma delle società di capitali permesso alla stessa l’assunzione di partecipazioni in altre società comportanti una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime, le società di capitale socie di società snc, sas e sapa sono soggette a fallimento.
Gli amministratori delle società di capitali, dopo una normativa ambigua, sono oggi investiti di un obbligo di pubblicità nel reg. delle imprese dal quale decorrono gli effetti dello scioglimento, nonché l’obbligo di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale ( in caso di violazione dell’obbligo di pubblicità: responsabilità solidale degli amministratori per danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori e ai terzi). Spa ed Srl differiscono sia per qunto riguarda l’identificazione dei responsabili sia le azioni proponibili. Nelle Spa
Le società cooperative, le fondazioni e le associazioni che svolgono attività di impresa come attività collaterale e non principale possono essere soggette a fallimento.
Le Società regolarmente costituite ma mai operanti (Società c.d. Inattive) sono passibili di Fallimento in quanto vige nei loro confronti una “presunzione di Impresa Commerciale”dal momento stesso della loro costituzione. Inoltre se un’impresa commerciale esercita di fatto un’attività agricola è comunque sottoposta a procedura fallimentare in quanto “commerciale” per costituzione.

Quindi:

Impresa (Costituzione)
Ambito (di fatto)
Procedura Fallim. Applicabile
SS
Agricolo
No Fallimento
SS
Commerciale
Fallimento
SAS, SNC, SPA, SAPA, SRL
Agricolo
Fallimento
SAS, SNC, SPA, SAPA, SRL
Commerciale
Fallimento

Problema dell’imputazione dell’impresa
Principio generale: chiunque eserciti attività d’impresa in nome proprio è soggetto al fallimento.
N.B.: Nel nostro Ordinamento a fallire è l’imprenditore (individuale o collettivo che sia) e non l’impresa.
Qualora vi sia scissione tra l’imprenditore e colui che esercita l’impresa ( es. imprenditore minore e genitore che esercita “in nome e per conto di”) a fallire è comunque l’imprenditore ( cioè il rappresentato ) e non l’esercente (il rappresentante).
Qualora vi sia un soggetto (A, prestanome, testa di legno o uomo di paglia) che eserciti l’impresa “in nome proprio e per conto o nell’interesse di un altro soggetto(B)”, a fallire sarà sia il soggetto “A” (in base al principio generale) , sia il soggetto “B” (in seguito ad elaborazione giurisprudenziale e non in base alle teorie sull’imprenditore occulto proposte da Walter Digiavi).

In base alla legge fallimentare, sono soggetti alle disposizioni sul fallimento tutti gli imprenditori commerciali fuorché gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.
Enti Pubblici: Sono difficilmente definibili in quanto forma e sostanza sono spesso divergenti, ma sono comunque sottoposti a fallimento le s.p.a. a partecipazione pubblica ( es. Trenitalia). Per quanto riguarda gli enti pubblici territoriali ( comune, provincia, regione ecc.. ) vi è una particolare procedura detta di “dissesto amministrativo”.
Piccolo Imprenditore: La sua definizione è fondamentale in quanto il piccolo imprenditore non è assoggettabile a fallimento. Con la riforma del 2006, il fallimento è divenuto un istituto di “sdebitazione” (libera dai debiti) e come tale risulta vantaggioso nei confronti dell’imprenditore.
Ai sensi dell’art. 2083 c.c risultano essere piccoli imprenditori il coltivatore diretto del fondo, il piccolo commerciante e l’artigiano che esercitino l’attività con l’impiego prevalente del proprio lavoro e di quello dei famigliari.
Problemi peculiari sorgono attorno alla figura dell’artigiano il quale, in base alla Legge quadro sull’artigianato, risulta tale anche se i suoi connotati siano di gran lunga eccedenti i limiti del 2083 cc (prevalenza del proprio lavoro).
Sorge quindi un problema di incertezza del diritto e sull’interpretazione dello stesso da parte della giurisprudenza.
In base alla riforma del 2006, parametro generale per l’individuazione del piccolo imprenditore risulta essere un ricavato lordo superiore ai 200000 euro annui (valutato su una media triennale) nonché un capitale di investimento (iniziale?) superiore a 300000 euro. Questo criterio è stato inserito nel secondo comma dell’art. 1 della legge fallimentare sostituendo i limiti dello stesso comma già abrogati nel 1975. Inoltre, sempre con la riforma, il Legislatore ha stabilito la Società Commerciale può essere piccola e non fallire.




Lezione 11/10/06

L’art. 1, comma 2 della legge fallimentare indica quali Imprenditori non rientrano nella categoria dei Piccoli Imprenditori e non chi sia piccolo imprenditore: per sapere chi è piccolo imprenditore non si può fare dunque ricorso all’argomentum a contrario (“stampella dell’imbecille”) ma bisogna fare riferimento all’art. 2083cc.
L’art 15 L.Fallim. esclude dal fallimento l’imprenditore che abbia maturato debiti per un importo complessivo inferiore ai 25000 euro.
In mancanza di attivo patrimoniale (beni con i quali soddisfare i creditori), qualora vi siano i presupposti per la dichiarazione di fallimento, questo viene dichiarato comunque: il procedimento viene avviato al fine di pagare i debiti aventi prededuzione e carattere processuale ma si evita la fase di “accertamento passivo” ovverosia la fase nella quale vengono ufficialmente individuati crediti e creditori. In mancanza di attivo viene dunque attivata una procedura che ha come fine il pagamento delle spese del fallimento stesso (inutile!).
Per fallire, l’imprenditore commerciale deve essere inadempiente e insolvente:
Insolvenza: Impossibilità di adempiere regolarmente (Res debita, tempo debito) alle proprie obbligazioni.
Inadempienza: Indice di insolvenza, di incapacità di adempiere.
E’ sufficiente un unico inadempimento a dimostrare l’insolvenza e può trattarsi anche di un inadempimento estraneo all’impresa (es. Zambetti non paga il fiorista).
Altri indici di insolvenza sono la Fuga (irreperibilità, chiusura locali ecc…) e la “Datio in solutum” (pagamento dei creditori con oggetti).
Spetta al giudice, di fronte ai creditori e all’imprenditore, decidere se dichiarare o meno il fallimento. A tal fine egli presta attenzione alla Situazione Patrimoniale dell’Impresa (sorta di bilancio aggiornato alla cui redazione sono tenuti anche gli imprenditori senza obbligo di bilancio).
Tale documento contiene Attivo e Passivo dell’impresa. Il giudice però presta attenzione unicamente ad alcune voci dell’attivo e del passivo: l’Attivo Liquido (costituito dai beni facilmente liquidabili; es. Azioni, Fondi…) e le Passività Correnti (costituite dalle obbligazioni scadute o breve scadenza). Qualora le Passività Correnti siano superiori all’Attivo liquido il giudice dichiarerà il fallimento, in caso contrario no. Infatti, l’imprenditore è inadempiente solo per le obbligazioni già scadute e non saldate. Può capitare dunque che un imprenditore abbia forti passività ma scarse passività correnti (es. molte obbligazioni a lunga scadenza) e scarso attivo ma in gran parte liquido: in tal caso non fallisce poiché alle poche obbligazioni scadute potrà far fronte con il liquido disponibile.
Attivo Liquido < Passività Correnti = Fallisce
Attivo Liquido > Passività Correnti = Non Fallisce

Come già detto, gli Enti Pubblici sono esenti da fallimento… ma non dalle altre procedure concorsuali!
Alcuni (es. Banche, Assicurazioni…) in caso di insolvenza sono sottoposti a Liquidazione Coatta Amministrativa; altri (es. Cooperative commerciali…) possono essere sottoposti a Liquidazione Coatta Amministrativa o a Fallimento (se prima arriva il giudice vi sarà dichiarazione di fallimento; altrimenti la PA sottoporrà l’ente a LCA).
Le imprese grandi e grandissime seguono invece le procedure predisposte ad hoc per tali tipologie (Amministrazione Str. per le Grandi/Grandissime Imprese).
Il Concordato Preventivo è invece accordato alle imprese “in crisi” e non “insolventi”: la distinzione dei due termini è però oggetto di contesa giurisprudenziale.

Fallimento dell’Imprenditore Collettivo e responsabilità del Socio
Qualora l’Imprenditore Individuale “A” fallisse, “A” vedrebbe l’intero suo patrimonio sottoposto a fallimento. Un discorso parzialmente differente va fatto invece riguardo all’Imprenditore Collettivo.
Art 147, Legge Fallimentare:
Se l’imprenditore collettivo fosse ABCsnc, l’insolvenza di ABCsnc (verificata sul patrimonio della società e non dei soci) provocherebbe il fallimento della società e dei soci che risulterebbero illimitatamente responsabili verso i creditori della snc.
Se l’imprenditore collettivo fosse ABsas (A,B accomandatari; C accomandante non presente nella rag. Sociale e non violante il divieto di gestione), l’insolvenza di ABsas provocherebbe il fallimento della società e dei soci A e B che risulterebbero illimitatamente responsabili verso i creditori della sas. C responsabile unicamente per il conferito
Se l’imprenditore collettivo fosse ABsapa (A,B accomandatari; C accomandante non presente nella rag. sociale e non violante il divieto di gestione), si verificherebbero le medesime conseguenze viste per la sas.

Da questi esempi si può notare l’inserimento nell’Ordinamento di una deroga: può darsi infatti (esempio lampante quello di una snc costituita da marito e moglie casalinga) che il fallimento della società porti al fallimento anche soggetti non imprenditori nella realtà (nell’esempio, la moglie). Dunque nel nostro ordinamento non fallisce solo l’imprenditore ma può fallire anche un socio non imprenditore di una società.
Discorso a parte vale per le società di capitali (Spa e Srl) nelle quali fallisce la società insolvente ma non i soci.
La deroga non può essere applicata alle Associazioni perché norma speciale rispetto alla disciplina generale: vale dunque il divieto di analogia (art 14 prel.)
All’interno di un rapporto di controllo fra più società, il fallimento della società figlia non colpisce la madre.

Lezione 12/10/06
L’imprenditore individuale può essere dichiarato fallito entro il termine di un anno dalla cessazione dell’attività (art. 10), l’ex socio illimitatamente responsabile d’impresa collettiva s.a.s. ,s.a.p.a. e s.n.c. può essere dichiarato fallito nello stesso termine qualora non abbia adeguatamente informato i terzi del venir meno della propria qualità di socio. Ma la dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti( anche una sola obbligazione) alla data della cessazione della responsabilità illimitata (quindi dell’ex socio, 147, comma 2°).
Vi è inoltre illimitata responsabilità di soci che istituzionalmente godrebbero di una limitata responsabilità nel caso in cui detti soci abbiano concesso l’iscrizione del proprio nominativo nella ragione sociale ( inducendo in errore i terzi) e/o si ingeriscano nella gestione dell’impresa ( caso dell’accomandante yuppie) ex art 147.
Al di fuori di s.a.s. , s.n.c e s.a.p.a. vi sono altre situazioni nelle quali i soci sono illimitatamente responsabili non istituzionalmente: s.r.l. e s.p.a. non hanno istituzionalmente soci a responsabilità illimitata, ma patologicamente può avvenire. Il socio unico di s.p.a. e di s.r.l. è illimitatamente responsabile se non ha pubblicizzato adeguatamente il fatto di essere socio unico o non ha effettuato i conferimenti.
La responsabilità illimitata del socio deriva dal compimento di atti di gestione(amministrazione).
Il socio unico di s.p.a e s.r.l. non ha poteri diretti di amministrazione, ma nomina e revoca gli amministratori. Quindi il socio unico di s.p.a. e di s.r.l. non fallisce, ma può divenire illimitatamente responsabile qualora non pubblicizzi adeguatamente il fatto (di essere socio unico) o non effettui i conferimenti.
Essere illimitatamente responsabile e dover pagare interamente i debiti comporta minori svantaggi del fallimento.
In presenza di s.a.s. , l’accomandante (istituzionalmente a responsabilità limitata) può divenire illimitatamente responsabile a seguito di propria ingerenza nella gestione societaria e quindi essere dichiarato fallito.
Art. 147, 4° comma: “Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili(c.d. socio occulto), il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi”.
La ricerca dei soci occulti ha come fine quello di incrementare la massa dei beni da sottoporre alla procedura. Tale ricerca si affida alla verifica della provenienza dei vari conferimenti (padre che finanzia, moglie che lavora gratis).
Art. 147, 5° comma: “Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società(società di fatto o occulta con il socio occulto) di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”.
In questo caso a fallire saranno sia l’imprenditore individuale che la società occulta e quindi anche il socio occulto. Tale situazione si avvicina alla fattispecie dell’impresa guidata da un prestanome: anche in questo caso il socio occulto viene fatto fallire in quanto socio di una società di fatto costituita con il prestanome e fallita (in base all’art. 147 e non in base all’art. 1).

Come si procede al Fallimento
Al Fallimento si giunge tramite un procedimento prefallimentare (prodromico e detto di “istruttoria prefallimentare”) regolato dagli artt. 6 e ss. Della legge fallimentare.
E’ un procedimento camerale (diverso dunque da quello ordinario di cognizione) a cognizione piena (dopo il 1948 per conformità all’art. 24 cost.), ma particolarmente veloce e deformalizzato.
Soggetti dotati di legittimazione attiva a proporre istanza di fallimento sono:
1) I creditori (anche singolo)
2) L’imprenditore insolvente
3) Il P.M.
Per quanto riguarda il creditore, la procedura prevede che egli depositi il RICORSO in CANCELLERIA. Non è previsto il patrocinio obbligatorio di un difensore.
L’imprenditore insolvente in alcuni casi è obbligato a procedere alla richiesta di fallimento: nel caso in cui non chiedendo il fallimento aggravasse il dissesto compirebbe il reato di bancarotta semplice.
Il P.M. detiene in base all’art. 6, 1° comma un potere generale di richiesta tutte le volte in cui riscontri situazioni di insolvenza( ad es. leggendo il giornale). Ex art. 7 il P.M. propone al giudice istanza di fallimento quando:
- l’insolvenza risulti dalla segnalazione del giudice civile che l’abbia riscontrata in un giudizio svoltosi di fronte a lui con parte un imprenditore (ritenuto insolvente).
- l’insolvenza risulti da manifestazioni della stessa (fuga, chiusura locali, irreperibilità, latitanza…).
A differenza del P.M. e dei creditori, attualmente il debitore non può impugnare il decreto di rigetto del fallimento (Illegittimità costituzionale? Attendiamo la battaglia nel prossimo inverno. Chi la spunterà?).

Lezione 17/10/06

Il Soggetto legittimato a chiedere il fallimento (Creditori, Imprenditore insolvente, PM; non più il giudice d’ufficio) se intende chiedere il fallimento, deve rivolgersi al “tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa”(art. 9, l.fallim.).
L’art. 9 indica dunque due tipi di competenza:
· Competenza per Materia: in capo al Tribunale
· Competenza per Territorio: in capo al Tribunale del luogo della sede principale dell’impresa.
Mentre per quanto riguarda la C. per Materia non sorgono difficoltà, la C. per Territorio può essere oggetto di disputa in quanto dipende dall’Individuazione della sede principale dell’impresa.
Per “Sede principale dell’Impresa” si intende la sede nella quale vengono prese le decisioni relative all’impresa stessa (cd. Sede direttiva). Un imprenditore in forma societaria è dotato, in quanto tale, di una sede legale: tale sede può non coincidere con la sede direzionale. In assenza di indicazioni contrarie, la sede legale è presunta sede direzionale ma, tale presunzione, può essere superata facilmente.
La sede direzionale è dunque la sede dove DI FATTO vengono prese le decisioni riguardo all’impresa.
Avendo i diversi tribunali una costanza “interna” nel dirimere determinate controversie (es. Roseto degli Abruzzi spesso nega il fallimento) ed essendo preferibile per l’imprenditore evitare il più possibile il fallimento, quest’ultimo può essere tentato di collocare la sede legale (che cerca di indicare come sede direttiva) della propria impresa all’interno della competenza territoriale di un tribunale più “favorevole”. Il legislatore, per limitare questa pratica, ha sancito l’irrilevanza ai fini della competenza territoriale degli spostamenti di sede (in Italia) intervenuti entro l’anno precedente alla richiesta di fallimento (art. 9,1 l.Fallim.). Per quanto riguarda gli spostamenti oltre confine (es. Roma --- Parigi) la sussistenza della giurisdizione italiana non viene meno se il trasferimento è avvenuto dopo il deposito del ricorso (che richiede il fallimento). La nuova giurisdizione non può essere “posticipata” di un anno come nel caso di spostamenti interni (l’impresa “espatriata” passa sotto la nuova giurisdizione immediatamente dopo il trasferimento).
Il ricorso (l’atto con il quale il creditore/imprenditore chiede il fallimento) è rivolto al giudice e deve essere notificato alla controparte. Dal momento del deposito (discrimine), inizia il procedimento prefallimentare .
L’Art 9bis detta disposizioni in Materia di Incompetenza del giudice (Contrasto Negativo).
Qualora il tribunale adito per mezzo del ricorso si ritenga incompetente, dichiara (con decreto di rigetto o con sentenza) la propria incompetenza e dispone con decreto la trasmissione degli atti al tribunale ritenuto a sua volta competente. Ricevuti gli atti, il secondo giudice entro venti giorni può ritenersi incompetente e richiedere alla Corte di Cassazione il Regolamento di Competenza (ex. Art. 45 cpc). Dato che il Regolamento di Competenza è disposto dalla Corte riunita a Sezioni Unite, il notevole tempo richiesto per ottenere la decisione fa sorgere molti dubbi riguardo alla tutela del creditore… che va a farsi friggere…
Qualora il tribunale adito per primo e incompetente, al posto di dichiarare la propria incompetenza, provveda a dirimere la questione emettendo una sentenza, la sentenza di impugnazione della sentenza emessa dal giudice incompetente e dichiarativa della incompetenza lascia FERMA la dichiarazione di fallimento e si limita a spostare in capo al giudice competente la sola procedura fallimentare… contrasto con l’art 25 cost!!! l’imprenditore viene distolto del giudice precostituito e quindi competente! Anche il rito è importante, non solo il merito. Si attendono provvedimenti della C. Costituzionale…
L’Art 9ter detta disposizioni riguardo al Conflitto Positivo d’Incompetenza (Contrasto Positivo).
Si ha contrasto positivo quando due o più giudici si ritengono tutti competenti a dichiarare il fallimento e tutti lo dichiarino. Due sono i criteri principali in base ai quali si decide quale fallimento debba prevalere:
· Nel caso in cui le sentenze dichiarative di fallimento non siano contemporanee, il procedimento resterà in capo al tribunale che per primo ha emesso sentenza.
· Nel caso in cui le sentenze siano contemporanee, si utilizza il criterio della prevalenza: prevale il fallimento più ampio.
Nel caso in cui si tratti di un impresa con due sedi (una direttiva e un a di produzione) è competente il tribunale realmente competente (quello del luogo della sede direttiva) anche se si è gia pronunciato il tribunale incompetente.
Inoltre, l’imprenditore che è stato dichiarato fallito all’estero è suscettibile di una seconda dichiarazione di fallimento ad opera dei tribunali italiani (salve convenzioni internazionali e normativa comunitaria) mentre un imprenditore dichiarato fallito in Italia non può essere dichiarato fallito una seconda volta sempre in Italia.
Il Procedimento che porta alla dichiarazione di fallimento è di tipo “camerale” a cognizione sommaria. Caratteristica di questo tipo di procedimenti (rispetto a quelli ordinari) è la deformalizzazione e l’importanza del giudice nell’organizzazione del procedimento, essendo questo scarsamente regolamentato nelle forme (solo 7 artt del cpc). Il fallimento non può essere dichiarato senza aver prima dato la possibilità all’imprenditore di difendersi. Il Tribunale a tal fine deve convocare il debitore (non obbligato peraltro a presentarsi). Tale convocazione del debitore è frutto di una sentenza della C. Costituzionale del 1970.

Lezione 18/10/06
Mentre nel testo previdente vi era una mero rinvio agli artt. 737 ess. Cpc., con la riforma del 2006 il legislatore disciplina esplicitamente il procedimento prefallimentare.

Art. 15. Legge Fallimentare
Istruttoria prefallimentare.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.
Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del quinto comma. Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso, e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni liberi.
Il decreto contiene l'indicazione che il procedimento è volto all'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell'udienza per la presentazione di memorie ed il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone, con gli accertamenti necessari, che l'imprenditore depositi una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.
I termini di cui al terzo e quarto comma possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza.
Il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede, senza indugio e nel rispetto del contraddittorio, all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio.
Le parti possono nominare consulenti tecnici.
Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza.
Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro venticinquemila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 1.

Art. 22
Gravami contro il provvedimento che respinge l'istanza di fallimento

Il tribunale, che respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento, provvede con decreto motivato, comunicato a cura del cancelliere alle parti.
Entro quindici giorni dalla comunicazione, il creditore ricorrente o il pubblico ministero richiedente possono proporre reclamo contro il decreto alla Corte d'appello che, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Il debitore non può chiedere in separato giudizio la condanna del creditore istante alla rifusione delle spese ovvero al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell'articolo 96 del codice di procedura civile.
Il decreto della Corte di appello è comunicato a cura del cancelliere alle parti del procedimento di cui all'articolo 15.
Se la Corte d'appello accoglie il reclamo del creditore ricorrente o del pubblico ministero richiedente, rimette d'ufficio gli atti al tribunale, per la dichiarazione di fallimento, salvo che, anche su segnalazione di parte, accerti che sia venuto meno alcuno dei presupposti necessari.
I termini di cui agli articoli 10 e 11 si computano con riferimento al decreto della Corte d'appello.

Se il tribunale accoglie il ricorso del soggetto legittimato emette sentenza dichiarativa di fallimento (la sentenza è l’atto più importante che un giudice possa emettere; è motivata obbligatoriamente).
La procedura fallimentare è iniziata dal giudice con la sentenza dichiarativa di fallimento(sddf).
La SddF è una sentenza con effetti variegati: apre la strada ad un processo esecutivo concorsuale (è sentenza costitutiva e dunque modifica la situazione giuridica preesistente di tutta una serie di soggetti) che è l’amministrazione fallimentare (centro di imputazione creato dalla SS. SddF).
Le parti in senso sostanziale della sentenza costitutiva in senso sostanziale sono: il debitore (ora cazzi suoi fallito) , i creditori, i soggetti aventi rapporti con il fallito prima della sentenza ( socio…) ,l’amministrazione fallimentare.
La sentenza contiene il nome del fallito e la nomina del curatore: i creditori e gli eventuali soci saranno individuati dal curatore.

Lezione 19/10/06

I soggetti titolari di rapporti giuridici che dipendono dalla sentenza (es. Subacquirenti di beni in precedenza del fallito), non ne risentono in via diretta (come le parti del procedimento) ma in via riflessa. Codesti soggetti/non parti sono solitamente molto più numerosi dei soggetti/parte e meno identificabili di quest’ultimi.
Si può dunque affermare che la sentenza dichiarativa di fallimento (in seguito: SddF) ha efficacia Erga Omnes? No, la SddF solitamente produce effetti per un gran numero di soggetti, interni ed esterni al procedimento, ma alcune disposizioni salvano determinate categorie dagli effetti della sentenza (potremmo parlare di “efficacia Erga Omnes limitata”, in modo mooolto maccheronico…).
Quando la SddF inizia a produrre effetti?
Il principio generale (art. 16,3 l. Fallim.) stabilisce che la SddF “produce i suoi effetti dalla data di pubblicazione” e la pubblicazione avviene mediante deposito in cancelleria (dunque, effetti a partire dalla data di deposito).
Spetta al Collegio giudicante stabilire il Dispositivo e provvedere, all’interno di questo, alle conseguenti nomine (curatore…). La motivazione, obbligatoria nelle sentenze, è redatta invece a cura del Giudice Relatore se il dispositivo ha confermato la sua tesi, da un altro giudice del collegio (uno dei due rimanenti) se l’ha sconfessata. La redazione della motivazione, che richiede tempo, comporta che la data di deposito della SddF sia posteriore a quella di decisione del Dispositivo. Questo tempo intercorrente potrebbe permettere al Dichiarato/Fallito ma non ancora Sottoposto agli effetti del Fallimento, di liberarsi presso un notaio di tutti i propri beni. Per limitare questa conseguenza, il legislatore ha stabilito che gli atti di disposizione posti in essere dal dichiarato/fallito nel termine di un anno precedente alla SddF (cd. Periodo Sospetto) possono essere revocati.
Come già evidenziato, La SddF produce i suoi effetti dalla pubblicazione. Tale momento però a valore unicamente (sembra) per le parti processuali: l’art. 16,3 stabilisce infatti che “Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione nel registro delle imprese”. Tale iscrizione è prevista dall’art. 17,2 dove si specifica: “La sentenza è altresì annotata presso l’ufficio del registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale…”. La SddF dunque inizia a produrre i propri effetti per i terzi a partire dall’iscrizione nel registro delle imprese. Questa differenza fra l’inizio di produzione degli effette crea però problemi:
Se A viene dichiarato fallito il 11, il 10 vende a B (terzo) casa sua e il 12 viene iscritto il fallimento nel reg. delle imprese, come si risolve la fattispecie? In teoria l’atto di A è revocabile (perché compiuto nell’anno precedente alla SddF) ma al tempo stesso la SddF, al tempo della vendita di A a B, non produceva effetti per B in quanto questi effetti decorrono solo a partire dal 12! È un problema reale e per il quale ancora non è stata trovata soluzione….. Comunque resta il fatto che la SddF produce i suoi effetti per le parti processuali dal deposito e per i terzi dall’iscrizione nel registro.
Differenze/Somiglianze fra la SddF e le altre sentenze comuni.
La SddF già dal primo grado è esecutiva! E questo già dalla prima formulazione della legge (1942) mentre l’esecutività delle altre sentenze comuni di primo grado è stata sancita solo con la riforma del 1990.
La SddF passata in giudicato produce effetti non solo per le parti (come le altre sentenze) ma anche per i terzi! I terzi dunque non possono utilizzare lo strumento dell’Opposizione di Terzo (che nelle altre sentenze possono scegliere) riguardo ad una SddF.
Gli effetti della SddF prima o poi “vengono meno” dato che il fallimento è una procedura concorsuale che si chiude (non è eterna…). Le sentenze comuni invece hanno effetti che restano nel tempo.
Il Giudice della SddF conosce (valuta in maniera non suscettibile di stabilità) le questioni pregiudiziali (il debitore è imp. Commerciale?, è insolvente?, è piccolo impr.?...) e decide (in maniera stabile, salvo riforma in impugnazione) circa il fallimento o meno. In mancanza di una specifica domanda di accertamento pregiudiziale, solo il dispositivo della sentenza è coperto dal giudicato e le questioni pregiudiziali sono suscettibili di diversa valutazione da parte di un altro giudice (tale previsione è una tesi prevalente ma non unica…).
La SddF ha un contenuto anche “amministrativo” in basa all’art. 16. Tale articolo prevede l’inserimento in sentenza della nomina del curatore e la risoluzione di altre questioni inerenti all’avvio della procedure fallimentare (vedi elenco questioni nell’art. medesimo).
La SddF oggi, dopo la riforma del 2006, è direttamente impugnabile in Appello e in Cassazione (3 gradi di giudizio). [Prima della riforma, la SddF era impugnabile con “Opposizione a SddF” di fronte allo stesso giudice della SddF. Una simile deroga al sistema era concessa sulla base del fatto che mentre la SddF era il prodotto di un procedimento a cognizione sommaria, l’Opposizione a SddF prevedeva un procedimento a cognizione piena. Dopo l’Opposizione vi era la possibilità di Appello e di ricorso in Cassazione (4 gradi di giudizio)].
L’Appello contro la SddF
Differisce dall’appello avverso le sentenze comuni: è molto più semplificato (art. 18 l. fallim.).
Mentre l’appello ordinario è richiesto con citazione, l’appello contro la SddF deve essere chiesto mediante ricorso. Il termine per la proposizione di ricorso è sempre di 30gg (cd. termine breve) che decorrono:
· Per il Fallito: dalla notificazione della SddF (che avviene il giorno dopo del deposito in cancelleria, art 17).
· Per tutti gli altri interessati: dalla iscrizione del fallimento nel registro delle imprese.
Resta valido il termine lungo di 1 anno per la proposizione di appello in assenza di notifica della SddF.
Anche la Corte d’Appello, come il Tribunale, ha poteri di natura inquisitoria potendo disporre d’ufficio accertamenti. A differenza del primo grado però, la Corte pronuncia il dispositivo della sentenza e la motivazione nella stessa udienza (dibattimentale?) e non in camera di consiglio. Qualora la motivazione dovesse essere particolarmente complessa, questa può essere differita ma il dispositivo no! I giudici sono dunque costretti a prepararsi sul caso prima dell’udienza.
E’ legittimato a ricorrere in Appello il soggetto/i soccombente in primo grado (principio di soccombenza) e qualunque altro aggetto avente interessi giuridici coinvolti nella SddF. La giurisprudenza talvolta accoglie il ricorso di soggetti aventi interessi affettivi (es. la fidanzata che vuole evitare il fallimento del proprio ragazzo) ma si tratta di casi dubbi.
Sono comunque legittimati tutti i soggetti portatori di interessi giuridici che hanno subito effetti diretti o riflessi dal fallimento dato che nel fallimento non è possibile l’Opposizione di terzo e deve essergli data una possibilità di impugnazione.
Con l’appello, il ricorrente vuole dimostrare che il fallimento è illegittimo ma la proposizione dello stesso non sospende l’esecuzione della SddF (altrimenti il debitore potrebbe facilmente sfuggirvi…). La Procedura Fallimentare (che è concorsuale e liquidatoria) prosegue nelle more dell’appello: in caso di revoca della SddF gli atti posti in essere dal curatore restano validi.
Quest’ultimo fatto, prima della riforma e dunque con un procedimento molto più lento, portava talvolta a che la revoca lasciasse l’imprenditore (non più) fallito senza patrimonio: tante belle scuse ma no money!!! Informalmente allora, se l’appello appariva fondato, il curatore si asteneva dagli atti e il procedimento era messo in corsia preferenziale. Ora, con la riforma, l’appello è più rapido e difficilmente il curatore riesce a disporre di tutto il patrimonio prima della seconda sentenza! Ma soprattutto, oggi l’art. 19 prevede la possibilità, per la Corte d’appello, di disporre la sospensione della sola “procedura di liquidazione” (non di tutto il procedimento fallimentare) se l’appello appare
fondato.

Lezione 24/10/06

L’impugnazione avverso la SddF si presenta con ricorso presso la corte d’appello. Possibili esiti del ricorso sono la conferma o la revoca della SddF.
Come già chiarito la procedura fallimentare non si ferma nelle more del ricorso (unica eccezione in caso di sospensione della sola procedura di liquidazione concessa dalla corte d’appello), bensì il curatore prosegue nella propria attività.
Per fermare il fallimento occorre il passaggio in giudicato della sentenza, essendo insufficiente la semplice emissione della medesima. Solo con il passaggio in giudicato può avvenire la revoca del fallimento, che comporta l’arrestarsi della procedura fallimentare.
La revoca del fallimento è diversa dalla chiusura del fallimento.
La chiusura del procedimento fallimentare è la fine naturale del fallimento e cristallizza le operazioni compiute dal curatore sulla base della SddF, invece, in caso di revoca…
Innanzitutto se vi è revoca significa che vi erano vizi di merito o processuali : in ogni caso il fallimento viene revocato.
La revoca della SddF tuttavia non può per sua natura eliminare tutti gli effetti prodotti dalla SddF stessa perché:
1. Alcuni effetti si sono verificati ex lege ( il fallimento scioglie i contratti, la revoca non li ripristina; es. del contratto di commissione visto a lezione).
2. Alcuni effetti si sono verificati per opera del curatore ( i creditori soddisfatti non devono restituire quanto versato dal curatore in modo legittimo ex art. 18 c.9 nel quale viene inoltre affermato che restano salvi li effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura; altrimenti nessuno acquisterebbe i beni messi in vendita dal curatore ).
In conclusione la revoca della SddF non garantisce una Restituito in Integrum del patrimonio dell’ex fallito.

Gli organi della procedura fallimentare
Sono Organi della procedura fallimentare:
1. Il tribunale fallimentare
2. Il curatore
3. Il giudice delegato
4. Il comitato dei creditori( ridefinito dalla riforma)
La riforma ha rimodulato i rapporti fra gli organi della procedura.
Il Curatore
Già a partire dalla versione originaria della l. Fallim.il curatore è il vero motore del fallimento.
Ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (ex art. 31 c.1).
Nel fallimento, come nelle altre procedure concorsuali, il patrimonio è affidato ad un curatore nella sua interezza, a differenza del procedimento di esecuzione individuale dove il pignoramento riguarda un singolo bene.
La ragione di questa distinzione sta nel fatto che mentre nel procedimento individuale il creditore è a conoscenza del bene sul quale potrà soddisfarsi, nel fallimento tale identificazione non è presente nella sentenza. L’identificazione del patrimonio (che è definito come il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi in capo ad un soggetto) infatti è uno dei compiti principali del curatore.
Il curatore amministra e gestisce tutto questo complesso,quindi tanto i beni (dimensione statica del patrimonio: immobili, cose deperibili…), quanto i rapporti (dimensione dinamica del patrimonio).
Si comprende quindi che questi (amministrazione e gestione) sono i motivi principali di presenza del curatore. Facendo già parte del procedimento fallimentare per i motivi elencati il curatore si vede investito di ulteriori e non meno importanti funzioni.
Il curatore è nominato nel dispositivo della SddF ed assomma in sé la tutela di più soggetti (principalmente dei creditori intesi come classe).
Con la riforma del 2006 il legislatore tenta una “privatizzazione” e tale tentativo si può notare nella ridefinizione dei rapporti fra curatore e comitato dei creditori.
Art. 37 bis l.F.: “I creditori (…...) possono chiedere la sostituzione del curatore indicando al tribunale le ragioni della richiesta e un nuovo nominativo”.
Il curatore deve tutelare i creditori nel loro insieme e ciò non significa tutelarli tutti individualmente.
Maggiore è il numero dei creditori, minore sarà la soddisfazione degli stessi.
Il curatore deve ammettere alla qualifica di creditore solo i soggetti che sono realmente tali: l’interesse della massa dei creditori è che ne siano ammessi il minor numero.

Art. 28.
Requisiti per la nomina a curatore

Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:
a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;
(Novità della riforma 2006: “Persone giuridiche” possono essere nominate curatore sebbene sia richiesta sempre una “persona fisica” responsabile).
c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.
Nel provvedimento di nomina, il tribunale indica le specifiche caratteristiche e attitudini del curatore.
Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.

Con la riforma del 2006 il rapporto curatore/giudice delegato si è allentato: il giudice delegato fungeva da “assistente a costo zero” del curatore nel campo giuridico. Oggi il legame è più forte tra il curatore ed il comitato dei creditori. Ciò può comportare la necessità di consulenze giuridiche private e costose(!). In questo caso la privatizzazione del legislatore riduce le risorse del patrimonio.

Nell’operare le proprie scelte il curatore segue due fari:
1. L’interesse dei creditori (faro principale e preminente)
2. L’interesse del fallito
A parità di soddisfazione di creditori prevale tra due (o più) opzioni la meno svantaggiosa per il fallito.
Il curatore tutela i ceditori liquidando i beni (trasformazione in denaro liquido) del fallito: non li può investire, neanche nel tentativo di aumentare il patrimonio.
Un terzo faro, spento dalla riforma, prevedeva in capo al giudice delegato la possibilità di esprimere direttive al curatore.
Il curatore ha la facoltà di agire liberamente soltanto per ciò che riguarda l’ordinaria amministrazione (categoria fumosa definita in negativo dal dogma “è straordinaria amministrazione ogni volta che il curatore dispone di un diritto o assume un obbligo”), mentre necessita dell’autorizzazione del comitato dei creditori per il compimento di atti definibili di straordinaria amministrazione.

Lezione 25/10/06

Un elenco di atti di “straordinaria amministrazione” è contenuto nell’art. 35 (l.F.).
Tale elenco non è comunque da ritenersi tassativo essendoci altri atti, non contenuti nell’articolo citato, rientranti nella categoria.
Tra gli atti di str. amm. previsti dall’art. 35 i più frequenti all’interno della procedura fallimentare sono: le transazioni (contratti con reciproche concessioni stipulati per evitare o per dirimere una controversia) e i compromessi (contratto che prevede il deferimento di una controversia ad un arbitro privato in sostituzione della tutela giurisdizionale prevista dall’ordinamento).
Come già detto, per il compimento di atti di str. amm. il curatore deve ottenere l’autorizzazione al compimento da parte del Comitato dei creditori.
Però, per il compimento di atti di str. amm. aventi valore superiore a 50000€ e, comunque, per tutte le transazioni, il curatore deve informare previamente il giudice delegato oltre ad ottenere all’autorizzazione del comitato.
Mai, in ogni caso, il tribunale ha un ruolo riguardo le autorizzazioni.
Gli atti indicati nell’art. 35 sono atti di str. amm. di tipo negoziale (c.d. Atti Sostanziali: transazioni, compromessi…) ma l’amministrazione del patrimonio avviene anche attraverso atti di str. amm. di tipo processuale (c.d. Atti Processuali: richiesta di tutela giudiziaria per un credito…)

Compimento di Atti di str. amm. di tipo negoziale in assenza di Autorizzazione: Conseguenze.
Se il curatore stipula un atto di str. amm. di tipo negoziale in assenza di autorizzazione, tale atto è annullabile (è invalido ma produce effetti). Tali effetti possono essere rimossi tramite “azione di annullamento” o possono essere consolidati tramite successiva “ratifica” del Comitato.
L’azione di annullamento può essere richiesta dalla parte per la quale i requisiti viziati (l’autorizzazione) sono posti. Dato che l’autorizzazione è posta a tutela dei creditori spetterà a questi ultimi chiedere l’annullamento per mezzo dell’organo deputato a curarne gli interessi: il curatore medesimo (pare strano ma è così, dottrina e giurisprudenza concordano).
Se il giudice pronuncia l’annullamento, elimina l’atto viziato e rimuove gli effetti.
La controparte (es. soggetto acquirente un bene messo in vendita dal curatore nel fallimento) potrà tutelarsi dal rischio annullamento richiedendo al curatore di ottenere l’autorizzazione del comitato alla conclusione dell’atto di str. amm. prima della conclusione dell’atto stesso.
Riguardo all’atto di str. amm. di tipo negoziale posto in essere dal curatore dotato di autorizzazione ma inadempiente nei confronti dell’informativa al giudice (naturalmente nel caso sia obbligatoria), non vi è certezza circa la sua annullabilità: unica soluzione potrebbe essere la presenza di un vizio nell’atto di autorizzazione ma, se l’autorizzazione non è impugnata o non viene meno, l’atto del curatore deve considerarsi valido.

Come già chiarito, l’amministrazione del patrimonio si attua anche attraverso l’attività processuale.
A differenza dell’attività negoziale che, in alcuni casi, richiede la sola informativa al giudice delegato, per l’attività processuale è richiesta al curatore l’autorizzazione da parte di tale organo.
L’art. 31 c. 2 (l.F.) dispone in tal senso: “Egli (il curatore) non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato”.
Anche nell’attività processuale il legislatore ha distinto ordinaria e straordinaria amministrazione (simmetricamente senza e con autorizzazione). Sempre l’art. 31 salva dall’obbligo di autorizzazione alcuni atti processuali (quindi ordinari) quali quelli derivanti da:
1. Liti della fase di “formazione del passivo”.
2. Liti in materia di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento (il terzo proprietario di un bene in possesso del fallito al momento del fallimento deve chiedere tutela al giudice per la restituzione del bene che non deve essere destinato al fallimento, es auto in riparazione dal carrozziere al momento del fallimento di quest’ultimo).
3. Inoltre il curatore non necessita di autorizzazione “nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore”.
Se il curatore supera i limiti stabiliti dall’autorizzazione del giudice delegato, l’atto posto in essere dal curatore si intende privo di autorizzazione.
Fra le autorizzazioni del comitato e del giudice e l’atto sostanziale o processuale posto in essere vi deve essere identità. Se nel corso del processo promosso dal curatore (in base ad una autorizzazione del g. delegato) sorge la necessità di porre domanda riconvezionale e tale domanda supera i limiti posti dall’autorizzazione, il g. delegato integrerà l’autorizzazione. L’autorizzazione ad agire per il merito contiene già (implicitamente o espressamente) l’autorizzazione a richiedere misure cautelari.
Tale atto del giudice non può essere un’autorizzazione “in bianco” (ad agire in generale) ma deve essere in grado di orientare l’operato del curatore (anche senza essere troppo stringente…).

Compimento di Atti di str. amm. di tipo processuale in assenza di Autorizzazione: Conseguenze.
Se il curatore pone in essere atti processuali senza autorizzazione del giudice delegato, le conseguenze dipendono dalla fase processuale nella quale tale mancanza viene rilevata:
· Se il giudice od una delle parti rilevano la mancanze prima che il processo vada in decisione, a norma del cpc il giudice “assegna alle parti un termine affinché venga fornita l’autorizzazione”.
· Se la mancanza viene rilevata quando il processo è già entrato in fase di decisione, il giudice “rimette la causa in istruttoria” per l’ottenimento della necessaria autorizzazione.
· Se il processo arriva a sentenza in assenza di autorizzazione, tale sentenza è viziata e può essere impugnata da tutte le parti (poiché il requisito dell’autorizzazione del giudice è posto a tutela della “regolarità del processo”. Tale regolarità è interesse di tutte le parti e non solo dei creditori).
Art. 30 (l.F.), “Il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale”. Da tale riconoscimento discendono alcune conseguenze: innanzitutto i reati che compie o che subisce risultano aggravati. Inoltre i suoi atti fanno piena prova dei fatti avvenuti di fronte a lui. Take ultima affermazione trova però un limite: nei giudizi in cui è parte i suoi atti non fanno piena prova. Solamente le affermazioni a lui sfavorevoli fanno prova e quindi gli conviene non produrle…
Fra i compiti che spettano al curatore, l’art 33 c.1,2,3 (l.F.) stabilisce che:
“Il curatore, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento, deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito nell'esercizio dell'impresa, sulla responsabilità del fallito o di altri e su quanto può interessare anche ai fini dell'istruttoria penale.
Il curatore deve inoltre indicare gli atti del fallito già impugnati dai creditori, nonché quelli che egli intende impugnare. Il giudice delegato può chiedere al curatore una relazione sommaria anche prima del termine suddetto.
Se si tratta di società, la relazione deve esporre i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società”.
Inoltre, l’art. 28 c. 3, disponendo che “non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento” rende chiaro che il curatore è persona che dell’impresa non conosce la situazione in un periodo precedente alla SddF e (quindi) alla nomina (tranne il caso in cui il soggetto nominato curatore non fosse stato nominato “per organizzare” un concordato preventivo prima del fallimento). 60 giorni per predisporre una relazione particolareggiata possono dunque essere pochi…
Altro compito del curatore (che prima della riforma spettava al giudice delegato) è quello di predisporre il progetto di stato passivo, documento nel quale vengono indicati i creditori e il programma di liquidazione.
In considerazione di tutte queste attività, il curatore riceve un compenso liquidato sulla base di tariffe ministeriali che tengono conto della percentuale di attivo e passivo: maggiore è il passivo maggiore sarà il compenso essendo più arduo il compito del curatore.

Il Giudice Delegato
A seguito della riforma, il giudice delegato ha perso parte della sua importanza. Principalmente questa perdita coincide con la sparizione dall’art. 31 c. 1 (l.F.) del potere di direzione sul curatore anche se continua a detenere, con il comitato dei creditori, il potere di vigilanza sull’operato del curatore e ha risolvere le controversie nascenti nel fallimento (svolge dunque solo l’attività giurisdizionale).
E’ il secondo organo della procedura fallimentare e alla sua nomina provvede il tribunale fallimentare nella SddF.
Con la riforma si è cercato di rendere il giudice ancora più “terzo” rispetto alle parti del procedimento.
Norma cardine per quanto riguarda i poteri del giudice delegato è l’art 25 (l.F.).

Lezione 26/10/2006

I provvedimenti del giudice delegato assumono quasi sempre la forma di decreti motivati, raramente quella di ordinanze e mai quella di sentenze.
Una volta con i “decreti di acquisizione” il curatore acquisiva un bene alla massa attiva (destinandolo così al soddisfacimento dei creditori); il problema è se il curatore sottrae un bene ad un soggetto, ma si scopre che quel bene non era di proprietà del fallito. Non era giusto. Ma dopo l’intervento della giurisprudenza si è stabilito che i decreti di acquisizione sono illegittimi se non in base ad un giusto processo, salvo che i beni acquisiti siano del fallito, del suo coniuge, o del terzo consenziente.
Non è possibile emettere decreti di acquisizione nei confronti di terzi rivendicanti un diritto incompatibile (ad es. proprietà) sul bene. Nella nuova norma per “terzi” si intendono anche i congiunti del fallito (? Vedi appunti).

Art. 25
Poteri del giudice delegato
Il giudice delegato esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura e:
1) riferisce al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del collegio;
2) emette o provoca dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio, ad esclusione di quelli che incidono su diritti di terzi che rivendichino un proprio diritto incompatibile con l'acquisizione;
3) convoca il curatore e il comitato dei creditori nei casi prescritti dalla legge e ogni qualvolta lo ravvisi opportuno per il corretto e sollecito svolgimento della procedura;
4) su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito alle persone la cui opera è stata richiesta dal medesimo curatore nell'interesse del fallimento;
5) provvede, nel termine di quindici giorni, sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori;
6) autorizza per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L'autorizzazione deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essere rilasciata per ogni grado di essi (L’autorizzazione è valida per tutti gli atti inerenti al grado per il quale è stata rilasciata: 1 autorizzazione per il 1° grado, 1 per il 2° grado e 1 per il giudizio di cassazione). Su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito agli avvocati nominati dal medesimo curatore;
7) su proposta del curatore, nomina gli arbitri (nell’eventualità di “compromessi”. La nomina dell’avvocato per il processo spetta invece al curatore) , verificata la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge;
8) procede all'accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati dai terzi, a norma del capo V.
Il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, né può far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti (in applicazione del principio di terzietà del giudice).

Il giudice delegato ha comunque un grande ruolo nell’accertamento del passivo (decide sull’ammissione dei creditori) e nella liquidazione.

Il Tribunale Fallimentare

Art. 23
Poteri del tribunale fallimentare
“Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è investito dell'intera procedura fallimentare; provvede alla nomina ed alla revoca o sostituzione, per giustificati motivi, degli organi della procedura, quando non è prevista la competenza del giudice delegato; può in ogni tempo sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori; decide le controversie relative alla procedura stessa che non sono di competenza del giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti del giudice delegato.
I provvedimenti del tribunale nelle materie previste da questo articolo sono pronunciate con decreto, salvo che non sia diversamente disposto”.

Errori presenti all’interno dell’articolo:
1) se il tribunale (che ha dichiarato il fallimento) è incompetente la procedura ora passa sotto il tribunale competente.
2) i decreti del tribunale sono ora diventati impugnabili davanti alla corte d’appello.

Art. 24
Competenza del tribunale fallimentare
“Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.
Salvo che non sia diversamente previsto, alle controversie di cui al primo comma si applicano le norme previste dagli articoli da 737 a 742 del codice di procedura civile. Non si applica l'articolo 40, terzo comma, del codice di procedura civile”.

Problemi del primo comma
Al primo comma viene enunciata la Vis Attractiva Concursus (forza attrattiva del fallimento). Mediante questo comma controversie che sarebbero di competenza dei giudici previsti dalle norme ordinarie cpc passano sotto la competenza del tribunale fallimentare.
Dopo una serie di decisioni giurisprudenziali si è giunti a definire, sebbene in modo non del tutto esaustivo, che la Vis incontra un limite nella forza delle controversie sorte anteriormente alla data del fallimento e che potevano essere proposte dal fallito e pure nella forza delle controversie successive al fallimento ed esercitabili dal curatore indipendentemente dal fatto che sia intervenuta la SddF. Per meglio comprendere, due esempi:
· Il fallito vantava un credito di 100 preesistente alla SddF, il curatore agisce secondo le norme del cpc perché si è in presenza di un diritto (di credito) sorto prima del fallimento (la Vis attractiva non opera in quanto controversia sorta anteriormente al fallimento e proponibile in precedenza dal fallito).
· Il fallito aveva venduto a prezzo esiguo un bene prima di fallire, il curatore, potendo agire con revocatoria ed essendo tale diritto ad agire sorto con (in seguito al) fallimento, agisce di fronte al tribunale fallimentare (la Vis attractiva opera in quanto controversia successiva al fallimento ed esercitabile a seguito della SddF).
Il curatore fa sempre valere una posizione giuridica autonoma rispetto a quella del fallito, egli chiede per sé, per la procedura, non chiede per il fallito (come nel caso di “azione surrogatoria” del creditore di creditore prevista dal cpc) e dunque è sempre terzo, mai sostituto processuale. Tale posizione è evidenziata dal fatto che gli eventuali pagamenti conferiti dal debitore del fallito al fallito medesimo in corso di fallimento non rilevano: tali adempimenti non portano al rigetto della domanda del curatore (che anzi viene accolta) come invece avviene per la domanda del creditore di creditore.
Le due posizioni giuridiche autonome del fallito e del curatore stanno in rapporto di “pregiudizialità eventuale” dove l’eventualità risiede nel seguente diverso trattamento:
· Se il fallito può vantare un credito verso un terzo -> Diritto di Credito del Curatore.
· Se il fallito non può più vantare tale credito -> (Probabile) Diritto di Credito del Curatore (se l’adempimento nei confronti del fallito è avvenuto a procedura avviata).

Problemi del secondo comma
Il problema del secondo comma sta nel fatto che ora,dopo la riforma, il legislatore pretende che le cause entrate nella competenza del tribunale fallimentare per via della Vis Attractiva Concursus siano regolate dalle norme processuali previste dagli artt. 737 e ss. del cpc. Queste norme prevedono il rito camerale, che, come già detto, è un procedimento a cognizione sommaria. Mentre quindi le revocatorie fallimentari seguiranno il rito camerale, le revocatorie ordinari (non scaturenti dal fallimento) seguiranno il rito ordinario e, dunque, godranno di maggiori garanzie.
Inoltre è importante notare che il vecchio art. 15 l.F. (sull’istruzione prefallimentare) precedentemente a cognizione sommaria è stato trasformato in procedimento a cognizione piena, quindi si tratta di una falla nella sentina del sistema giuridico - nave Italia.

Lezione 31/10/06

Il Comitato dei Creditori
E’ l’ultimo organo del Fallimento. Istituito nel sistema previgente ha subito una profonda rivisitazione ad opera della riforma fallimentare del 2006. La riforma ne ha ampliato i poteri rendendolo “organo attivo” da “organo fantasma”. Tale ampliamento è da leggere all’interno di quel processo di “privatizzazione” della procedura voluto dal legislatore del 2006. Nel sistema passato i poteri ora appartenenti al comitato erano destinati al Giudice delegato, figura “ridimensionata” dalla riforma.
Parallelamente all’incremento dei poteri il nuovo testo prevede un netto aumento delle responsabilità che fanno capo ai componenti del comitato.
Il nuovo art. 40 l.F. sostituisce una disposizione di poche righe con un testo dettagliato: il legislatore ha in tal modo codificato quella che prima era la prassi.

Art. 40.Nomina del comitato.
“Il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere l'incarico (dalla nomina a membro del comitato discendono serie responsabilità: solo soggetti che si dichiarano disponibili ad assumerle possono dunque essere nominate) ovvero hanno segnalato altri nominativi aventi i requisiti previsti. Salvo quanto previsto dall'articolo 37-bis, la composizione del comitato può essere modificata dal giudice delegato in relazione alle variazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo.
Il comitato è composto di tre o cinque membri scelti tra i creditori, in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità (Chirografari o privilegiati) dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi.(Il Legislatore preferisce che siano i “Grossi Creditori”, ad es. Banche…,a farne parte perché aventi una preparazione ed una struttura tale da permettere uno svolgimento consapevole del compito. Quasi sempre però le responsabilità derivanti dalla nomina allontanano tali creditori lasciando il posto a sprovveduti o a nullatenenti…)
Il comitato, entro dieci giorni dalla nomina, provvede, su convocazione del curatore, a nominare a maggioranza il proprio presidente.
La sostituzione dei membri del comitato avviene secondo le modalità stabilite nel secondo comma.
Il componente del comitato che si trova in conflitto di interessi si astiene dalla votazione.
Ciascun componente del comitato dei creditori può delegare in tutto o in parte l'espletamento delle proprie funzioni ad uno dei soggetti aventi i requisiti indicati nell'articolo 28, previa comunicazione al giudice delegato.”

Le deliberazioni del Comitato non devono essere prese necessariamente in sede di riunione: la volontà dei membri può essere efficacemente manifestata anche attraverso sistemi telematici (videoconferenze, fax, email, per alcuni anche sms…).
Le funzioni svolte dal comitato dei creditori sono tre.
1° Funzione: in conformità all’art. 31 c.1 ed accanto al giudice delegato vigila sull’operato del curatore ispezionando documenti contabili e richiedendo informazioni. Con la riforma tale potere di vigilanza è divenuto anche un obbligo con annesse responsabilità.
2° Funzione: detiene un potere di amministrazione indiretta attiva. Per alcuni atti (di straord. Amministrazione) il comitato deve integrare i poteri del curatore. Se il comitato non presta la necessaria autorizzazione al curatore non resta che adeguarsi in quanto non dotato di strumenti di “opposizione” utili al fine di imporre la propria posizione: Comitato = Arbitro unico degli Interessi.
Tuttavia dato che il comitato è formato solo da alcuni creditori mentre il curatore deve “curare” gli interessi dell’intera massa dei creditori, in assenza di autorizzazione per il compimento di un atto utile alla massa come può agire il curatore? Il curatore non dispone di alcuno strumento: l’art. 40 u.c. prevede unicamente l’astensione dalla votazione per il componente del comitato in conflitto di interessi (strumento sicuramente debole e insufficiente).
3° Funzione: il comitato può emettere pareri vincolanti e non (a seconda dei casi).

A seguito dell’introduzione di una serie di responsabilità, i membri del comitato possono ora essere compensati ex art. 37bis c.3 con una somma stabilita dalla maggioranza dei creditori (fino ad un max del 10% rispetto al compenso destinato al curatore) oltre al rimborso spese prev. dall’art. 41.
Tale compenso non è però paragonabile alla responsabilità per omessa vigilanza gravante sui membri. Nei loro confronti risulta infatti applicabile l’art. 2407 cc. riguardante la responsabilità dei sindaci (meglio non farne parte…).
La responsabilità fra il curatore ed il comitato è solidale verso l’esterno mentre nei rapporti interni del comitato può essere suddivisa diversamente con un accordo dei membri.
Il comitato può nominare un soggetto (solitamente un avvocato o un commercialista) a cui delegare i propri poteri e le proprie responsabilità. Tuttavia il professionista dovrebbe essere naturalmente compensato sottraendo così liquidi al già esiguo patrimonio del debitore… tale nomina è dunque un caso molto raro.

Rapporti fra gli Organi della procedura fallimentare
L’art. 26 disciplina il reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale. Al primo comma viene stabilita una norma di applicazione generale che trova dunque applicazione in assenza di disposizioni speciali differenti:
“Salvo che non sia diversamente disposto, contro i decreti del giudice delegato e del tribunale, può essere proposto reclamo al tribunale o alla corte di appello, che provvedono in camera di consiglio.”
Ancora una volta l’impugnazione è di tipo camerale (iter più veloce, deformalizzato…). Sempre l’art. 26 stabilisce la disciplina di rito e prevede nei commi 3 e 4 due differenti termini per l’impugnazione di tali decreti:
“Il reclamo è proposto nel termine perentorio di dieci giorni, decorrente dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento per il curatore, per il fallito, per il comitato dei creditori e per chi ha chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento; per gli altri interessati, il termine decorre dall'esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dal giudice delegato. La comunicazione integrale del provvedimento fatta dal curatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica con garanzia dell'avvenuta ricezione…”(Termine breve per l’impugnazione da parte del curatore, del fallito, del comitato e dell’eventuale soggetto che ha chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento in presenza di pubblicità del decreto).
“Indipendentemente dalla previsione di cui al terzo comma, il reclamo non può proporsi decorsi novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria.” (Termine lungo per l’impugnazione di soggetti non rientranti nell’indicazione del comma tre e che dunque non hanno avuto notizia diretta tramite pubblicità del provvedimento).
L’art. 36 disciplina il reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori. Tale reclamo, a differenza dell’art. 26 che prevede l’impugnazione anche per motivi di merito, può essere proposto unicamente per “violazione di legge” e di fronte al Giudice Delegato. Tale reclamo ex art. 36 può essere proposto dal fallito o da qualunque interessato e può essere diretto contro un atto o contro l’omissione di un atto.
Se il reclamo contro un l’omissione di un atto da parte del curatore è accolto, quest’ultimo deve emanare l’atto omesso. Qualora invece l’accoglimento riguardi l’omissione di un atto del comitato, il Giudice delegato compirà in prima persona l’atto omesso.
Il Giudice delegato possiede infatti un generale potere di sostituzione ex art. 41 c.4 nei confronti del comitato dei creditori: potrà dunque sostituirsi ad esso in caso di malfunzionamento o inerzia ed anche nel caso in cui, per assenza di creditori disponibili, sarà impossibile formare il comitato.
(Fine della parte sugli organi della procedura).

Effetti della Sentenza dichiarativa di Fallimento (SddF)
Il primo soggetto a risentire degli effetti del fallimento è chiaramente il Fallito. Tali effetti sono di due tipi:
1. Effetti Personali (che si creano sulla persona).
2. Effetti Patrimoniali (che si creano sul patrimonio).
Il Fallimento ed i suoi effetti personali risentono tuttora (anche se in maniera di gran lunga inferiore che in passato) del retaggio storico dell’esecuzione sulla persona (ad es. riduzione in schiavitù o uccisione del debitore insolvente, imprigionamento per debiti…).

Lezione 7/11/06

Effetti Personali della SddF sul Fallito
La riforma del 2006 li ha limitati al massimo. Prima della novella vi erano “effetti personali funzionali” al fallimento (di durata pari allo stesso) ed “effetti personali afflittivi” (serie di incapacità che colpivano il fallito).

Norme Funzionali al Fallimento

Il vecchio art. 48 l.F. stabiliva una forte compressione della segretezza della corrispondenza diretta al fallito: questa doveva essere interamente consegnata la curatore il quale, visionatone il contenuto, tratteneva la corrispondenza a contenuto patrimoniale e restituiva quella a contenuto personale (verso la quale era tenuto al segreto circa il contenuto; Limitazione funzionale al fallimento).
1° Effetto della SddF: In base al novellato art. 48 l.F. il fallito è tenuto a consegnare al curatore la corrispondenza (anche e-mail) riguardante i rapporti compresi nel fallimento. A seguito di tale modifica il curatore non è più certo di essere in possesso di tutta la corrispondenza patrimoniale ed inoltre non è previsto un termine per la consegna! La mancata consegna però ha l’effetto di impedire la “sdebitazione” del fallito… (Danno importante).

Il vecchio art. 49 l.F. stabiliva che il fallito non potesse allontanarsi dalla propria residenza senza il permesso del giudice delegato.
2° Effetto della SddF: Con il nuovo art. 49 l.F. al fallito non è più fatto divieto di allontanarsi dalla propria residenza in assenza di permesso del giudice delegato bensì sorge in capo ad esso un obbligo di comunicazione al curatore di ogni cambio di residenza o domicilio effettuato. In caso di inosservanza di tale obbligo si può configurare nei confronti del fallito una sanzione penale ex art. 220 l.F. con la condanna alla reclusione da 6 a 18 mesi.
Con la chiusura della procedura fallimentare tali articoli (48, 49 l.F.) non avranno più applicazione in quanto funzionali al fallimento stesso.

Norme Sanzionatorie

Prima della riforma il fallito era colpito da una serie di incapacità. Fra di queste però non vi era l’incapacità ad esercitare impresa commerciale. Solo se condannato per bancarotta il fallito sarebbe divenuto incapace ad esercitare l’impresa: il fallito poteva dunque esercitare attività d’impresa ma a questa attività non si dedicava in quanto l’eventuale ricavato sarebbe confluito nella massa fallimentare. Nei fatti però l’imprenditore fallito solitamente esercitava l’attività tramite prestanome (proprio per evitare di vedersi sottrarre il “nuovo” ricavato).
Con la riforma il fallito può ancora esercitare attività d’impresa (salvo condanna per bancarotta). Inoltre ora, alla chiusura del fallimento, il fallito si libera dei propri debiti (c.d. sdebitazione). Tale novità introdotta dal legislatore del 2006 provoca questa conseguenza: fino alla chiusura del fallimento l’imprenditore fallito non eserciterà attività commerciale per evitare che i ricavi confluiscano della massa fallimentare; chiusa la procedura e concessa la sdebitazione l’imprenditore fallito comincerà a svolgere nuovamente attività d’impresa commerciale in quanto i debiti con i creditori della precedente impresa saranno “spariti” con la sdebitazione e i ricavi prodotti dalla nuova attività non confluiranno più nella massa fallimentare.
La SddF provoca ancora delle incapacità in capo al fallito:
Prima della riforma la SddF portava all’iscrizione nel “pubblico registro dei falliti” del nominativo dell’imprenditore dichiarato fallito. Da tale iscrizione nascevano le incapacità. Unicamente la “riabilitazione del fallito” cancellava tale nominativo dal registro e provocava la rinascita delle capacità precedentemente eliminate. Principalemente all’imprenditore fallito era impedito di svolgere il ruolo di curatore, amministratore di società, giudice di pace, arbitro e tutte quelle professioni che richiedono il pieno godimento dei diritti politici (avvocato, notaio, commercialista, farmacista… + diritto di elettorato attivo/passivo).
Con la riforma gli effetti funzionali sono stati ridotti mentre quelli sanzionatori sono stati addirittura eliminati (il fallimento non deve essere “infamante”). Il legislatore ha eliminato il “pubblico registro dei falliti” e, a cascata, ha eliminato il procedimento di riabilitazione. Permangono le incapacità derivanti dallo status di fallito (no curatore, amministratore…) mentre quelle che dipendevano dal godimento dei diritti politici sono rinate (sì farmacista, avvocato, commercialista…). Ora il fallito gode dei diritti politici e, sebbene avvocati e commercialisti non possano esercitare attività d’impresa, se un fallito laureato in legge ed abilitato alla professione decide di non esercitare più attività d’impresa potrà svolgere la professione forense.

Effetti Patrimoniali della SddF sul Patrimonio del Fallito
Dalla data di pubblicazione della SddF (deposito in cancelleria) il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni ma non la proprietà (art. 42 l.F.). Eventuali cespiti “sopravvissuti” alla liquidazione non dovranno essergli ritrasferiti in quanto egli ne è sempre stato il proprietario. Per effetto della SddF il fallito non diviene mai “incapace in senso tecnico”: la capacità giuridica e d’agire non gli vengono sottratte.
Quello che colpisce il patrimonio fallimentare non è un sequestro. Ciò che si verifica in capo al fallito nei confronti del curatore viene definito spossessamento fallimentare. I beni soggetti a spossessamento sono tutti i beni del fallito fra i quali sono comprese tutte le situazioni giuridiche attive aventi contenuto patrimoniale facenti capo al fallito al momento della SddF (diritti reali, di credito, potestativi…).

Patrimonio Fallimentare ≠ Patrimonio del Fallito


Situazioni aventi carattere Patrimoniale Situazioni aventi carattere Patrimoniale e Non

Non rientrano nel patrimonio fallimentare:
1. I Beni di natura strettamente personale (non distaccabili per soddisfare i crediti, ex occhiali, dentiera, cornetto acustico…)
2. I Diritti di natura strettamente personale (divorzio da moglie con mani bucate o disconoscimento del figlio con le mani bucate nato da adulterio della moglie…). In questi casi non può essere il curatore a chiedere il divorzio od il disconoscimento in quanto trattasi di una scelta strettamente personale del fallito. Rientra fra tali diritti anche quello all’inedito ossia il diritto del fallito a non veder commercializzata una propria opera contro la sua volontà anche se tale commercializzazione fosse in grado di incrementare il patrimonio fallimentare.
Diversamente l’accettazione dell’eredità può essere esercitata dal curatore: eventuali cespiti rimanenti dopo la soddisfazione dei creditori spetterebbero all’erede successivo e non al fallito.

Lezione 9/11/06

All’interno del patrimonio fallimentare possono rientrare anche i beni di cui il fallito non sia più titolare, ma di cui era precedentemente.
Due casi importanti: 1. Revocatoria; 2. Inopponibilità ai terzi (impossibilità del trasferimento di beni) ex art. 45 l.F..
Se è persa l’amministrazione del patrimonio a seguito della SddF, non si tratta di perdita di proprietà, ne di incapacità, non è un sequestro e nemmeno un patrimonio separato; se volessimo cercare un modello a cui rifarci per ciò che riguarda gli effetti della SddF sul patrimonio del fallito dovremmo guardare al pignoramento, ma con una forza più pregnante poiché colpisce tutto il patrimonio e noi singoli beni (il vincolo è di indisponibilità dei beni ricompresi nel patrimonio fallimentare).
Il fallito non può vincolare volontariamente (contrattualmente) il suo patrimonio con delle obbligazioni, ma nemmeno con obbligazioni extracontrattuali [esempio: se il fallito durante il fallimento compie un illecito extracontrattuale (vaso in testa al passante) il suo debito non va pagato con beni del patrimonio fallimentare ma potrebbe se il vaso lo tirasse il curatore].
Il patrimonio diviene insensibile alle azioni del fallito: si ha quindi la cristallizzazione del patrimonio fallimentare (in particolare dell’attivo, art 42 e 31 l.F).
Ma se il fallito vende ugualmente il bene? L’atto diventa inefficace nei confronti dei creditori fallimentari (art. 44 l.F.). Essere inefficace significa non produrre l’effetto proprio: gli atti sono validi ma non producono effetti. Questa è un’inefficacia relativa (limitata ai creditori fallimentari), quidi per il resto del mondo l’atto è perfettamente efficace (ergo alla controparte acquirente; il terzo che acquista un terreno dal fallito è felice finchè non si trova in casa il curatore). C’è probabilità che il fallimentosi chiuda senza che il bene acquistato dal terzo rientri nella liquidazione e inoltre l’utile conseguito dalla vendita (o il diritto di credito del prezzo pattuito) rientra nel patrimonio ai sensi del terzo comma dell’art. 44 l.F. N.B. Quando la l.F. parla di atti si intendono tutti gli atti di disposizione (anche la donazione), ma anche gli atti di assunzione di obbligazione.
I creditori ammessi al fallimento sono quelli anteriori alla SddF; ricaviamo questo dato dall’art. 44 dove dice che i creditori successivi alla SddF acquistano il proprio diritto di credito in modo inefficace e quindi per gli altri creditori precedenti il loro credito non esiste.
Ciò che ha effetto per i terzi è sempre comunque la data di iscrizione della SddF ne registro delle imprese (art. 17). Se il creditore paga prima dell’iscrizione il pagamento è valido.
Per interpretare l’art.44 al contrario, cioè il caso del creditore che viene pagato dal fallito, ciò che è inefficace è il titolo per cui il pagamento viene fatto: manca la causa e da ciò deriva la restituzione dell’indebito. Se il fallito paga un creditore dopo la SddF non fa un pagamento inefficace (opponibile al curatore secondo un’erronea intrerpretazione) ma un pagamento che per il curatore è senza titolo efficace cioè senza causa e il creditore pagato deve restituire il tutto all’attivo da liquidarsi.

Lezione 14/11/2006
Il terzo che acquista un bene dal fallito in corso di fallimento lo perde (sia il prezzo che il bene).
Costui ha una garanzia per evizione e dunque un diritto al risarcimento del danno a seguito di evizione, ma divenendo creditore dopo la S.d.d.F. non potrà partecipare al fallimento e dovrà attendere la chiusura della procedura. Mentre il vincolo esecutivo del pignoramento non ha effetto nei confronti dell’acquirente che in buona fede ha acquistato il possesso di beni mobili non iscritti nei pubblici registri, la S.d.d.F., essendo al contrario pubblica, non permette la sussistenza della buona fede: tali effetti si verificano dall’iscrizione della S.d.d.F. nel registro delle imprese.

Effetti della S.d.d.F. sui creditori
La S.d.d.F. attribuisce ai creditori il diritto di partecipare al concorso (con soddisfazione proporzionale dei crediti).
Il concorso è esclusivo dei creditori anteriori alla S.d.d.F. La data in cui è sorto un credito è la prima cosa da verificare per stabilire se un creditore possa partecipare al concorso. Solitamente i creditori concorsuali vedono i propri crediti ridotti in percentuale e sono soggetti alla falcidia fallimentare.
Il creditore concorsuale diviene creditore concorrente nel momento in cui è ammesso al passivo.
Il creditore successivo alla pubblicazione della S.d.d.F. trova soddisfazione alla chiusura del fallimento se è creditore del fallito, o trova soddisfazione per l’intero (crediti da saldare con prededuzione (strumento indispensabile per il funzionamento della procedura) se è creditore del curatore (caso del cartolaio).
La soddisfazione dei creditori concorsuali può essere:
Integrale se l’insolvenza è data dalla sola il liquidità
In egual misura se non vi è patrimonio e tutti hanno una castagna in omaggio
Proporzionale al credito se vi è un passivo superiore all’attivo

I creditori acquistano il diritto al concorso ma perdono tutti gli altri diritti :

Art. 51.
Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali.
Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.

Si può comunque agire esecutivamente sui beni esclusi dal fallimento, ma a sua volta è escluso che i creditori in prededuzione (cartolaio bastardo) con crediti successivi e verso il curatore possano porre in essere azioni esecutive individuali. Con le azioni esecutive anche le azioni cautelari sono impossibili se successive o si interrompono se precedenti alla S.d.d.F.
Oltre alla perdita del diritto a tali azioni il creditore perde anche la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto. Se è richiesta prima della S.d.d.F. ma la controparte prima della S.d.d.F. fallisce il creditore mantiene il proprio diritto perché la sentenza di risoluzione retroagirà alla data della richiesta. Sarà opponibile ai creditori fallimentari se il curatore starà in giudizio e dunque se la sentenza sarà contro il curatore.
Art. 52.
Concorso dei creditori.
Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito.
Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge.

Lezione 15, 16 e 21/11/06

Processi in corso di fallimento: gli atti di cui si riferisce l’art. 44 si intendono sempre atti di tipo negoziale. Nel caso in cui il fallito compia un atto processuale si applica l’art. 43 che stabilisce: “ nelle controversie anche in corso relative ai rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore”. Quindi in assenza del curatore la sentenza non inciderà sul patrimonio fallimentare. Se contrariamente all’art. 43 sta in giudizio il fallito si produrrà una sentenza invalida( forse nulla); infatti la riforma ha considerato il fallimento un “evento interruttivo che opera automaticamente”. La S.d.d.F. produrrà dunque l’interruzione del processo anche se non nota alle parti.
Gli atti sostanziali compiuti dopo la S.d.d.F. dal fallito sono nulli ex. Art. 42.
Gli atti processuali compiuti dal fallito dopo la S.d.d.F. sono invalidi, probabilmente nulli, ex Art. 43.
I processi in corso interrotti dalla S.d.d.F. possono essere riassunti dalla parte che ne ha interesse contro il curatore così che la sentenza possa essere opponibile all’amministrazione fallimentare.
Il processo iniziato dal fallito dopo la S.d.d.F. è inammissibile e provoca una sentenza declinatoria di rito del giudice.
Il fallimento toglie il diritto dei creditori a tutti i mezzi di tutela individuale: il diritto al concorso si calcola in sede di S.d.d.F.
In sede di S.d.d.F. vi è una cristallizzazione dell’attivo e del passivo in riferimento all’attività del fallito, ma non del curatore ( caso cartolaio). Il credito vantato alla data della S.d.d.F. sarà pari alla somma comprensiva degli interessi maturati fino alla S.d.d.F.
Gli interessi maturati nel periodo compreso tra la S.d.d.F. e la chiusura del fallimento dovranno essere versati dal fallito tornato in bonis alla chiusura del fallimento.
I crediti precedenti alla S.d.d.F. e non ancora scaduti (non esigibili) vengono resi esigibili automaticamente dalla S.d.d.F. ( art. 55 comma 2).
Se il credito è sottoposto a condizione viene ammesso al passivo con riserva in attesa che la condizione si verifichi.
Se il credito non consiste in una somma di denaro ma in una prestazione il creditore è creditore della prestazione, ma il concorso prevede che tutti i creditori abbiano diritto ad una identica prestazione (somma di denaro) e dunque è necessario: 1) convertire i crediti in denaro; 2) convertire (liquidare) il patrimonio in denaro.
Il creditore della prestazione insinua al passivo un credito pecuniario (art. 59).
Ai fini dell’insinuazione del credito pecuniario il valore della prestazione oggetto del credito sarà stabilito in base al valore alla data della S.d.d.F.
Se prima della S.d.d.F. viene proposta domanda di restituzione vi sarà diritto di restituzione del prezzo in capo al creditore della prestazione; successivamente sorgerà il diritto di credito.
Tutti i creditori di qualsiasi ordine e grado rientrano nella par condicio creditorum.
Alcuni soggetti sfuggono però alla par condicio:
Titolari di diritti di prelazione (creditori privilegiati: pegno, ipoteca, privilegio generale/speciale). Il creditore privilegiato va trattato almeno come i chirografari(partecipa alle ripartizione come i chirografari e al momento della vendita del bene oggetto di pegno verranno fatti i conguagli). I creditori privilegiati continuano a maturare interesse anche dopo la S.d.d.F. seppur con dei limiti
Creditori/debitori(compensazione) del fallito. Si verifica l’effetto compensativo se i crediti/debiti sono liquidi, esigibili e omogenei(denaro denaro, grano grano) e reciproci (intercorrono fra le medesime persone).
Art. 56.
Compensazione in sede di fallimento
I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore.

La compensazione è ammessa anche se la massa fallimentare ci perde poiché dal punto di vista sostanziale è una garanzia. La reciprocità dei crediti debiti è una garanzia per il creditore che risulta essere sostanzialmente privilegiato. Eventuali somme eccedenti al proprio debito potranno essere ottenute con la procedura fallimentare insinuandosi come chirografari.
Si possono compensare i crediti non ancora esigibili poiché la S.d.d.F. li rende immediatamente esigibili. Se è il credito del fallito a non essere scaduto il debitore esterno può rinunciare al beneficio del termine effettuando la compensazione.
I crediti verso il fallito di prestazione si convertono in crediti pecuniari alla data della S.d.d.F., invece debiti verso il fallito di prestazioni non si convertono poiché da nessuna norma è stabilito.
Un soggetto solo debitore del fallito deve versare l’intero debito al curatore dopo averne ricevuto l’avviso.
Operazioni di cessione di crediti non scaduti al fine di integrare una posizione di semplice debitore ad una di debitore/creditore per usufruire della compensazione non producono affatto l’effetto desiderato: la compensazione non ha luogo se la cessione del credito non scaduto è avvenuta per atto tra vivi dopo la S.d.d.F. o nell’anno anteriore alla S.d.d.F.
Sui crediti scaduti vi sono divergenze dottrinali, ma di solito la compensazione non ha luogo.

Creditori soddisfatti integralmente. Il fallito risponde con il proprio patrimonio. Ad esempio il creditore con un contratto di deposito ha il diritto alla restituzione del bene. Tale credito non si trasforma in un credito pecuniario perché il bene mobile o immobile in deposito non fa parte del patrimonio del fallito perché è di proprietà del creditore. Se il creditore riesce a provare tale sua qualità verrà soddisfatto integralmente. Si parla di responsabilità patrimoniale nel senso che il fallito risponde con il proprio patrimonio e non con i beni che stanno presso di lui. L’individuazione del bene attribuisce la proprietà del bene stesso. Prima dell’individuazione l’acquirente ha solo il diritto alla consegna.

Lez. 21/11/ 2006 (da verificare)

Se il creditore-proprietario si trova davanti alla scomparsa del bene, il suo diritto di credito sul bene si trasforma in un credito pecuniario, nato per effetto del risarcimento del danno. Questo diritto di credito sarà concorsuale o privilegiato a seconda di chi ha smarrito il bene: se è stato il fallito sarà concorsuale, mentre sarà privilegiato se la responsabilità della perdita è da attribuire al curatore.
In caso di obbligazioni solidali si cristallizzano i crediti al momento della S.d.d.F.
I pagamenti parziali effettuati dai condebitori solidali( es. un fideiussore) non diminuiscono il valore del credito del creditore nella partecipazione al concorso.
Per tutelare i creditori se un fideiussore ottiene crediti di regresso questi vanno al creditore sino alla sua soddisfazione. La medesima situazione si presenta se il fideiussore ha la garanzia di un credito.

L’esdebitazione: il fallimento produce la liberazione dai debiti del fallito(artt.142 e ss.) .
Regole d’accesso:
Solo il fallito che è persona fisica può sdebitarsi
Non può essere concessa se non sono stati soddisfatti almeno in parte i creditori concorsuali
Viene concessa in due modi:
Decreto di chiusura di fallimento
Ricorso del debitore entro un anno
In entrambi i casi il tribunale dichiara inesigibili gli ulteriori crediti dei creditori (non sono estinti, bensì inesigibili). Quelli inesigibili sono i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.
Problema: la norma parla di creditori concorsuali: e se c’è un creditore in prededuzione?

Lez. 22/11/2006 (da verificare)

Sono esclusi dall’esdebitazione:
Obblighi di mantenimento/alimentari
risarcimento del fatto illecito extracontrattuale e derivante da reato
Nel caso in cui il fallito abbia dei cooblligati il creditore mantiene il suo diritto verso di loro per l’intero in via di regresso ex art 142.

Revocatoria ex c.c.: reazione del creditore contro l’eccessiva attività del debitore. Il discrimen tra azione e non azione è il pregiudizio.
I soggetti coinvolti sono 3: creditore, debitore e terzo.
Vi sono dei presupposti:
oggettivo (se c’è un danno verso il creditore); deve essere causato da un atto di disposizione del debitore ( a) Atti di disposizione: non vi rientrano gli atti dovuti come l’adempimento di undebito scaduto, né gli atti di amministrazione che costituiscano il modo ordinario di amministrare i propri beni, locazione di un immobile; b) Compiuti dal debitore: non vi rientrano gli atti che incidono sulla garanzia patrimoniale senza il concorso del debitore: ipoteca giudiziale, atto di esercizio del terzo di un diritto di opzione .
soggettivo (la conoscenza del pregiudizio; l’elemento discriminante tra la prevalenza del creditore o del terzo è la conoscenza del pregiudizio solo se l’atto è a titolo oneroso. Se invece l’atto è a titolo gratuito vince il creditore.
Ciò che può colpire il patrimonio non sono solo gli atti dispositivi, ma anche atti costitutivi di prelazione (ipoteca):sottraggono al bene la funzione di garanzia generale.
Il creditore può agire anche revocando atti costitutivi di prelazione ( anche le garanzie sono revocabili).
La garanzia è a titolo oneroso quando è contestuale al credito del terzo( intesa quasi come contropartita), ma non è detto che la garanzia non contestuale sia a titolo gratuito.
L’effetto della revocatoria è quello di rendere l’atto inefficace (inefficacia relativa) per il creditore revocante. A quel punto il creditore revocato diventa chirografario.
Per richiedere la revocatoria si deve essere creditori. La sentenza di revoca è costitutiva.
L’azione revocatoria si prescrive entro 5 anni dalla data dell’atto che si vuole revocare.
Trova applicazione anche nel fallimento ex art. 66 con alcune modificazioni:
1) è legittimato a chiederla solo il curatore
2) la revoca va a favore di tutti i creditori
3) competente per l’azione revocatoria nel fallimento è il tribunale fallimentare.

Lezione 23/11/06

Per poter usufruire della revocatoria ordinaria l’attore deve provare sia il pregiudizio derivante dall’atto di disposizione del debitore sia la conoscenza di tale pregiudizio da parte del debitore e soprattutto del terzo revocando. La difficoltà nella prova del secondo elemento produce lo scarso utilizzo dell’istituto stesso.
La revocatoria fallimentare trae origine dalla considerazione che il debitore fallisce se è insolvente e che l’insolvenza porta a compiere atti di disposizione sicuramente pregiudizievoli verso i creditori. L’insolvenza difficilmente insorge all’improvviso: anche gli atti precedenti alla SddF sono pregiudizievoli dato che l’insolvenza già si manifesta. Il legislatore ha dunque sancito la possibilità di retrodatare l’insolvenza al fine di permettere la revocatoria di tali atti pre-SddF. In particolare ha stabilito due limiti temporali (6 mesi e 1 anno prima della sentenza a seconda degli atti) di “periodo sospetto” (in realtà pur non essendo preveduto che presupposto della dichiarazione di inefficacia sia il pregiudizio verso i creditori la revocatoria fall. è disciplinata nella LF nella sez relativa agli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori;
[Caso del creditore ipotecario con ipoteca irrevocabile e assenza di creditori con privilegio speciale sugli immobili:la giurisprudenza di legittimità ha enunciato che nella revocatoria fall. il danno consiste nella lesione della par condicio creditorum, intesa come regole sulla collocazione dei crediti, ed è presunto, incombendo al convenuto in revocatoria, creditore ipotecario, di provare l’insussistenza dell’atto astrattamente pregiudizievole.]
nella revocatoria ordinaria il legislatore ha posto invece il requisito del “pregiudizio alle ragioni dei creditori”=c.d. Danno. Caso Palazzina). Qualora l’atto fosse precedente a questi termini il curatore non potrà utilizzare la revocatoria fallimentare ma dovrà ricorrere all’ordinaria (azione che si prescrive in 5 anni). A differenza dell’ordinaria con la revocatoria fallimentare si possono revocare anche i pagamenti.
Questi beni e diritti possono essere recuperati non al patrimonio del debitore,ma alla garanzia patrimoniale dei creditori.
Strumento di reintegrazione della garanzia è l’inefficacia dell’atto nei confronti dei creditori, che opera talora automaticamente a seguito della Sdd.F. ,altre volte a seguito di pronuncia giudiziale di revoca. L’inefficacia ha carattere relativo.
Anche nella revocatoria fallimentare vi deve essere un pregiudizio e la conoscenza di questo in capo al fallito e al terzo. Alcune fattispecie vengono però trattate in modo diverso:
· Se l’atto è a titolo gratuito il periodo sospetto è stabilito in 2 anni e la prova della conoscenza è irrilevante. La SddF rende automaticamente inefficace ex lege l’atto(64;65): il curatore non deve proporre nessuna istanza. Dagli atti a titolo gratuito sono però esclusi i doni proporzionati alla situazione economica (c.d. Regali d’uso: orologio x laurea, collana x anniversario…), gli atti a titolo gratuito a favore della collettività (campo alla Parrocchia…) e a saldo di obbligazioni naturali (doveri morali: debiti di gioco…) sempre se proporzionati al patrimonio. Il beneficiario dell’atto non può opporre la conoscenza ma può reagire sostenendo la precedenza dell’atto stesso al periodo sospetto o la non natura di regalo.
· Sono inefficaci ex lege e hanno sempre un periodo sospetto di 2 anni i pagamenti anticipati di debiti non scaduti e con scadenza posteriore alla SddF: il pregiudizio verso la par condicio creditorum si verifica sia a seguito di diminuzione del patrimonio che a seguito di sua alterazione (da beni immobili a denaro liquido facilmente occultabile). I pagamenti senza titolo sono considerati dal curatore come indebiti e soggetti a ripetizione in quanto “senza causa”. I pagamenti anticipati di debiti non scaduti e con scadenza posteriore alla SddF sono automaticamente inefficaci e il curatore non deve agire in giudizio. Se tali pagamenti fossero avvenuti dopo la SddF sarebbero stati inefficaci ex art. 44. Così invece sono inefficaci ex art. 65(sentenza dichiarativa, proponibile senza limiti di tempo).
La revocatoria ex art 67 è giudiziale e dunque presuppone l’intervento del giudice (sentenza costitutiva) su istanza del curatore. L’Azione Revocatoria Fallimentare nasce in capo al curatore e segue il rito camerale (quella ordinaria utilizza invece l’ordinario). Nella fallimentare il pregiudizio si presume così come si presume la conoscenza del fallito e, nei casi specificati, del terzo (atti a titolo gratuito o equiparati).
Nel caso di atti a titolo oneroso il risvolto psicologico del terzo conta ma consiste nella “conoscenza di ciò da cui il pregiudizio deriva” ossia dell’insolvenza: la revocatoria fallimentare verso atti diversi da quelli indicati sopra è possibile dunque solo in presenza della conoscenza dell’insolvenza da parte del terzo. Tale conoscenza deve essere specifica, non può trattarsi di semplice malafede. Nel caso in cui la conoscenza dello stato di insolvenza sia presunta e spetti al convenuto l’onere di provarne la non conoscenza, per la prova della inscentia decoctionis non è sufficiente la mancanza dei sintomi obbiettivi di insolvenza(protesti, iscrizioni di ipoteche, notizie di stampa). Qualora invece il curatore debba provare la conoscenza ( cioè in caso di atti normali) è sufficiente la presenza di tali sintomi.


Lezione 29/11/06

Elemento centrale della revocatoria fall. è il requisito soggettivo: la conoscenza dell’insolvenza con onere della prova a carico del curatore o del terzo a seconda che si tratti di atti normali o anormali (prima un anno o due anni, ora 6 mesi o 1 anno).
Atti normali:
1) Atti a titolo oneroso proporzionali o sproporzionali entro il quarto
2) Garanzie contestuali
3) Pagamenti nei modi d’uso

Art. 67Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie.
“Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore:
1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;
2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.
Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Non sono soggetti all'azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
c) le vendite a giusto prezzo d'immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell'articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata, nonché dell'accordo omologato ai sensi dell'articolo 182-bis;
f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”
Le vendite coattive consono invece revocabili perché sono atti dell’autorità giudiziaria (opinione giurspr. Incoerente).
Tra i pagamenti revocabili prima della riforma c’erano le rimesse in conto corrente bancario (pagamenti effettuati per coprire un cc scoperto). In presenza di c.c con fido se è in passivo nel limite del fido i versamenti non sono pagamenti revocabili nei limiti del fido. La riforma ha ridotto della metà il periodo sospetto e ha introdotto molte esenzioni che riducono l’applicabilità della revocatoria (67,3). Con queste esenzioni i pagamenti sono in larga parte esclusi e la revocatoria fallimentare è più vicina all’ordinaria.
Gli atti posti in essere dal fallito in corso di fallimento non sono revocabili perché sono già inefficaci ex lege. La revocabilità si riferisce ad un periodo precedente alla SddF.
L’art. 69 parte dal presupposto che il coniuge dopo il fallito sia il soggetto che meglio conosca la situazione economica e stabilisce la presunzione di conoscenza dell’insolvenza del coniuge anche se suscettibile di prova contraria carico del coniuge stesso (presunzione relativa o juris tantum). Tale presunzione inverte l’onere probatorio verso gli atti normali (per gli anormali è il rapporto di coniugio a renderli tali; verdi art. 67). Per tutti gli atti cambia il periodo sospetto che non è predeterminato rigidamente e che dura per tutto il tempo in cui c’era l’esercizio dell’impresa e il rapporto matrimoniale. Anche le donazioni e gli atti a titolo gratuito posti in essere oltre due anni prima della SddF (gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni precedenti alla SddF sono inefficaci ex art. 64) fra i coniugi sono revocabili ex lege in base all’art. 69.
Art. 69Atti compiuti tra coniugi.
“Gli atti previsti dall'articolo 67, compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale e quelli a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale sono revocati se il coniuge non prova che ignorava lo stato d'insolvenza del coniuge fallito.”
Il terzo (art. 70) che a causa della revocatoria perde un bene (e il prezzo) acquistato dal fallito (prima o dopo la SddF) può insinuarsi al passivo anche se il credito è sorto successivamente alla SddF e precisamente nel momento della restituzione a seguito di revocatoria.

Art. 70Effetti della revocazione

“La revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione multilaterale o dalle società previste dall'articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966, si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione.
Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito.
Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito.”
Lezione 30/11/06
Insinuarsi al passivo dopo la revocatoria:
Se un atto viene revocato si pone il problema di quando far risalire l’insinuazione. Ci sono due teorie riguardo al danno:
A. Indennitaria. Si riportano indietro le lancette poco prima della revocatoria e il terzo si insinua per il prezzo pagato (anche se è un credito garantito, oneroso (esempio vendita appartamento con conseguente restituzione dell’immobile al curatore: ci si insinua per il prezzo pagato e non per il valore); se è donazione si ha la restituzione della cosa donata senza la possibilità di insinuarsi al passivo].
B. Anti-Indennitaria. Il terzo si insinua per il valore della cosa (anche se una cosa viene donata ci si insinuerà al passivo per il suo valore)
La giurisprudenza oscilla tra una posizione e l’altra. La revocatoria ordinaria sicuramente indennitaria, la fallimentare è di solito anti-indennitaria, ma all’art. 70 si nota un’adesione alla teoria indennitaria laddove si legge che colui il quale ha restituito si insinua per il suo eventuale credito.
Il diritto alla revocatoria ordinaria ha un termine di prescrizione di 5 anni dalla data dell’atto. Prima del 16 luglio’06 anche il diritto alla revocatoria fallimentare si prescriveva applicando la regola generale secondo cui tutti i diritti si estinguono per prescrizione e si applicava altresì per analogia il termine di prescrizione della revocatoria ordinaria (che già è la metà della prescrizione normale).
Per l’ordinaria si guardava la data del compimento dell’atto, ma ciò non si poteva fare con quella fallimentare: la prescrizione (della fallimentare) infatti non iniziava a decorrere fino al giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere.
La riforma invece introduce l’art.69 bis che dice che non si può esercitare l’azione revocatoria oltre 5 anni dal compimento dell’atto e comunque non oltre 3 dalla S.d.d.F. per decadenza ( che a differenza della prescrizione non è soggetta ad interruzione o sospensione).
La natura della revocatoria è costitutiva: infatti modifica la situazione giuridica preesistente e quindi è un diritto potestativo(sent. Cass.). Già con la prescrizione era in corso un dibattito poiché essa si può interrompere esercitando il diritto (depositando la domanda giudiziale) o più semplicemente con una costituzione in mora ( se c’è un diritto di credito). Quando si avvicinava il periodo di prescrizione il curatore si cautelava inviando ai creditori una raccomandata per interrompere il decorso; ma gli veniva rigettata questa modalità e i creditori richiedevano una domanda giudiziale.
L’idea che è venuta al legislatore è che i diritti potestativi non siano soggetti a prescrizione,bensì a decadenza (che non può essere interrotta neanche con la domanda giudiziale ). Quello che accadrà nella prassi sarà un utilizzo maggiore della revocatoria ordinaria( che se presentata successivamente alla fallimentare, costituisce un mutamento della domanda).
Consecuzione di procedure concorsuali: accade quando due procedure si susseguono senza soluzione di continuità (ad oggi Concordato preventivo- fallimento). Quando si calcola il periodo sospetto? Ad oggi non lo si può sapere con certezza dopo che è stato posto come presupposto del concordato lo stato di crisi (che prevede l’insolvenza, ma probabilmente anche qualcosa d’altro come la temporanea difficoltà ad adempiere).

Chi sono i creditori che hanno diritto a partecipare alla distribuzione?
A norma dell’art. 52 “Chi fa domanda e la propria domanda è accolta”.
La fase della verificazione dello stato passivo si compone di due sottofasi:
A) Necessaria è disciplinata dall’art. 92 e ss. Il curatore, immesso nella disponibilità delle scritture contabili del fallito, stilando un elenco di creditori(per comodità si parla di passivo, anche se in realtà si verifica anche la parte di attivo comprendente beni o diritti che va esclusa dalla redistribuzione) dandone loro notizia del fallimento e dandogli la possibilità di partecipare al concorso.
In realtà i creditori potrebbero già essere a conoscenza del tutto dalla data di iscrizione della S.d.d.F. nel registro delle imprese, quando loro hanno 30 gg i tempo per presentare le loro domande di ammissione al passivo (è quindi un agevolazione per i creditori). Non si è obbligati ad insinuarsi, ma oggi con l’introduzione dell’esdebitazione non c’è più la possibilità di rifarsi sul debitore tornato in bonis, quindi conviene farlo.
L’atto di insinuazione viene fatto con un atto che ha la forma di una domanda giudiziale e sostanzialmente si ha riguardo alla interruzione della prescrizione del diritto di credito(o meglio al concorso); si può interrompere la prescrizione anche con una costituzione in mora (poiché è un diritto di credito).

Lezione 5/12/06

Il ricorso del creditore contiene generalità del creditore, la somma o il bene da restituire, le ragioni della domanda, le eventuali prelazioni sul bene, il numero di telefax ecc… .
Termini: prima della riforma il decreto di esecutività dello stato passivo distingueva domande tempestive (prima di esso e con procedura più semplice) e tardive (posteriori e con procedura più complessa). Oggi lo spartiacque non è più il suddetto decreto bensì in base al novellato art. 16 è il termne di trenta giorni precedenti al decreto di esecutività dello stato passivo (nuovo spartiacque). Le domande sono depositate in cancelleria e (dopo la riforma) vengono consegnate al curatore che redige un progetto di stato passivo (art. 95)


Art. 95
Progetto di stato passivo e udienza di discussione.

“Il curatore esamina le domande di cui all'articolo 93 e predispone elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del fallito, rassegnando per ciascuno le sue motivate conclusioni. Il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione.
Il curatore deposita il progetto di stato passivo nella cancelleria del tribunale almeno quindici giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, dandone comunicazione ai creditori, ai titolari di diritti sui beni ed al fallito, ed avvertendoli che possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte sino a cinque giorni prima della udienza.
All'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati. Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento.
Il fallito può chiedere di essere sentito.
Delle operazioni si redige processo verbale”.

Mentre prima il giudice delegato poteva rilevare tutte le eccezioni (sia quelle d’ufficio che di parte) oggi le eccezioni sono di prerogativa esclusiva del curatore. Questo cambiamento di ruolo del giudice è stato apportato dalla riforma in attuazione del principio di terzietà del giudice; infatti non può far valere eccezioni bensì deve decidere riguardo quest’ultime. Il curatore può quindi opporsi a domande di insinuazione al passivo; è diventato parte del giudizio e può quindi sollevare eccezioni, ma neanche in questa situazione non è una parte che sostituisce il fallito; per i creditori è come un terzo e la priva nei suoi confronti deve essere fatta valere come la prova verso il terzo (quindi più difficile).
A seguito della riforma il giudice può anche aprire un’attività istruttoria senza che questo contrasti con la speditezza del procedimento.
Il fallito non è parte del procedimento, può solo chiedere di essere sentito.
Il giudice delegato, fatta l’istruttoria, deve decidere. Il contenuto del decreto può essere primadi tutto di rito: inammissibilità quando è omesso o incerto anche solo uno dei requisiti previsti all’art.93,3 n.1,2,3

Art. 93
Domanda di ammissione al passivo.

“La domanda di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, si propone con ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo.
Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte e può essere spedito, anche in forma telematica o con altri mezzi di trasmissione purché sia possibile fornire la prova della ricezione.
Il ricorso contiene:

1) l'indicazione della procedura cui si intende partecipare e le generalità del creditore;

2) la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione;

3) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda;

4) l'eventuale indicazione di un titolo di prelazione, anche in relazione alla graduazione del credito, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale;

5) l'indicazione del numero di telefax, l'indirizzo di posta elettronica o l'elezione di domicilio in un comune nel circondario ove ha sede il tribunale, ai fini delle successive comunicazioni. È facoltà del creditore indicare, quale modalità di notificazione e di comunicazione, la trasmissione per posta elettronica o per telefax ed è onere dello stesso comunicare al curatore ogni variazione del domicilio o delle predette modalità.
Il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui ai nn. 1), 2) o 3) del precedente comma. Se è omesso o assolutamente incerto il requisito di cui al n. 4), il credito è considerato chirografario.
Se è omessa l'indicazione di cui al n. 5), tutte le comunicazioni successive a quella con la quale il curatore dà notizia della esecutività dello stato passivo, si effettuano presso la cancelleria.
Al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi del diritto del creditore ovvero del diritto del terzo che chiede la restituzione o rivendica il bene.
I documenti non presentati con la domanda devono essere depositati, a pena di decadenza, almeno quindici giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo.
Con la domanda di restituzione o rivendicazione, il terzo può chiedere la sospensione della liquidazione dei beni oggetto della domanda.
Il ricorso può essere presentato dal rappresentante comune degli obbligazionisti ai sensi dell'articolo 2418, secondo comma, del codice civile, anche per singoli gruppi di creditori.
Il giudice ad istanza della parte può disporre che il cancelliere prenda copia dei titoli al portatore o all'ordine presentati e li restituisca con l'annotazione dell'avvenuta domanda di ammissione al passivo”.

La domanda inammissibile può essere riproposta, ma se c’è una dichiarazione di infondatezza del merito non si può più riproporre. È possibile solo il ricorso.
Può ammettere la domanda in maniera semplice o con riserva (ex art.96; ad es. credito sottoposto a condizione). Può escludere il creditore dallo stato passivo.

Art. 96
Formazione ed esecutività dello stato passivo.

“Il giudice delegato, con decreto, accoglie in tutto o in parte ovvero respinge o dichiara inammissibile la domanda proposta ai sensi dell'articolo 93. Il decreto è succintamente motivato se sussiste contestazione da parte del curatore sulla domanda proposta. La dichiarazione di inammissibilità della domanda non ne preclude la successiva riproposizione.
Con il provvedimento di accoglimento della domanda, il giudice delegato indica anche il grado dell'eventuale diritto di prelazione.
Oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi al passivo con riserva:
1) i crediti condizionati e quelli indicati nell'ultimo comma dell'articolo 55;
2) i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice;
3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.
Se le operazioni non possono esaurirsi in una sola udienza; il giudice ne rinvia la prosecuzione a non più di otto giorni, senza altro avviso per gli intervenuti e per gli assenti.
Terminato l'esame di tutte le domande, il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria.
Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso”.

Il giudice deve guardare due profili: a) è sorto il credito; b) è sorto prima o dopo il fallimento (o meglio “opponibilità”).
Se è sorto dopo è inefficace per gli altri creditori; se l’atto da cui è sorto il credito è revocabile il giudice può escluderlo d’ufficio.
Il diritto che si fa valere è un diritto al concorso: non è un diritto di credito.
Differenze: Il decreto di esecutività dello stato passivo può essere impugnato aprendo la cd fase eventuale (vedi sopra lezione 30/11, fase b) della verificazione dello stato passivo. Prima della riforma la domanda di impugnazione del decreto di esecutività apriva un processo ordinario di cognizione con i tre gradi e quindi si dilungavano i processi. Oggi con il rito camerale sono più brevi. Per aprire la fase eventuale si deve fare o l’opposizione allo stato passivo (se uno non viene ammesso) o impugnazione dei crediti ammessi (se non accetta l’ingresso di un altro…; può farlo anche il curatore); si può impugnare anche con la revocazione dei crediti ammessi: può essere proposta dal curatore o dai creditori ammessi (ma è raro).
Il procedimento è uniforme, camerale, davanti al tribunale che decide in camera di consiglio. Si conclude la fase eventuale con una sentenza del tribunale.
Il diritto di credito può esserci ma non è consequenziale che possa a quel punto esistere un diritto al concorso (opponibilità).

Lezione 12/12/06

Procedure concorsuali minori.
Concordato preventivo: nato poco dopo il fallimento ha come scopo quello di evitare il fallimento, o meglio non diventare insolvente. Fino al 2006 c’era l’amministrazione controllata, oggi NO!.
Quello che vediamo oggi è un concordato modificato dal d.lgs. 2005 e dalla riforma del 2006 e reso abbastanza duttile. Le norme arrivano in larga parte dalla legge Marzano (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).
Il punto fondamentale del concordato di oggi è che mentre prima il debitore doveva proporre il 100% ai creditori privilegiati e il 40% ai chirografari, oggi ai chirografari non può essere più proposta la percentuale minima e i creditori possono essere suddivisi in classi ognuna soddisfatta in modo differente.
Si applica all’imprenditore commerciale e il presupposto è oggi lo stato di crisi (non definito dal legislatore). Il motivo di porre lo stato di crisi al posto dell’insolvenza è quello di anticipare la situazione di insolvenza irreversibile poichè si presuppone che la crisi sia qualcosa di meno dello stato di insolvenza.l’imprenditore insolvente può dunque chiedere il concordato preventivo? Il problema è sorto subito ed è stato necessario un intervento in finanziaria 2006 che ha stabilito che anche l’imprenditore insolvente può chiedere il concordato adducendo il motivo che lo stato di crisi comprende l’insolvenza ma non viceversa!. Se i creditori votano contro il concordato, a differenza della situazione precedente alla riforma che conduceva al fallimento immediato, prima di procedere al fallimento si deve verificare l’insolvenza.
Il debitore deve fare una domandala tribunale del luogo dove ha sede l’impresa e propone ai creditore un piano (oggi più elastico di prima). Qui il creditore privilegiatola diritto di essere pagato integralmente mentre con il fallimento è vero che il privilegiato viene pagato il 100% ma è il 100% che si ricava dalla vendita del bene su cui ha garanzia: qui il privilegiato viene pagato per il valore del bene, nel fallimento per il prezzo della vendita del bene.
Il concordato fallimentare chiude un fallimento: i creditori privilegiati sono pagati nei limiti della vendita del bene su cui hanno la garanzia, ma oggi anche loro possono essere divisi in classi e “prenderla in culo lo stesso” (legge Marzano).
La divisione in classi non è disciplinata del legislatore ed è molto difficile trovare le discriminanti per trovarle(ad es, privilegiati e chirografari (Bondi), fornitori dell’impresa [preferiscono essere pagati meno ma mantenere in vita l’impresa-cliente]). Possono esserci varie forme di soddisfazioni dei creditori (Bondi ha pagato in azioni Parmalat,da capitale-debito a capitale-rischio).
Il piano del debitore deve essere avvalorato da un’aggiornata situazione dell’impresa, l’elenco dei creditori e il valore dei beni dei soci illimitatamente responsabili; va attestata questa situazione dai professionisti indicati all’art. 28 (requisiti per curatore).

Art. 160
Condizioni per l'ammissione alla procedura.

“L'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:
a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”.

Art. 161
Domanda di concordato

“La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell'anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.
Il debitore deve presentare con il ricorso:
a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
c) l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista di cui all'articolo 28 che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.
Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell'articolo 152”.


Art. 162
Inammissibilità della domanda

Il tribunale, sentito il pubblico ministero e occorrendo il debitore, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta se non ricorrono le condizioni previste dal primo comma dell'art. 160 o se ritiene che la proposta di concordato non risponde alle condizioni indicate nel secondo comma dello stesso articolo.
In tali casi il tribunale dichiara d'ufficio il fallimento del debitore”.

Art. 163
Ammissione alla procedura

“Il tribunale, verificata la completezza e la regolarità della documentazione, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo; ove siano previste diverse classi di creditori, il tribunale provvede analogamente previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi.
Con il provvedimento di cui al primo comma, il tribunale:
1) delega un giudice alla procedura di concordato;
2) ordina la convocazione dei creditori non oltre trenta giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per la comunicazione di questo ai creditori;
3) nomina il commissario giudiziale osservate le disposizioni degli articoli 28 e 29;
4) stabilisce il termine non superiore a quindici giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma che si presume necessaria per l'intera procedura.
Qualora non sia eseguito il deposito prescritto, il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, quarto comma”.

Per quanto concerne gli effetti del concordato, sono effetti che tendono a favorire l’accordo tra creditori e debitore.

Art. 168
Effetti della presentazione del ricorso

“Dalla data della presentazione del ricorso e fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore.
Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano.
I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente”.

Gli atti indicati dall’art 167 devono invece essere autorizzati dal giudice delegato anche se in realtà l’amministrazione ela disponibilità rimangono in capo al debitore.

Art. 167
Amministrazione dei beni durante la procedura

“Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale.
I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.
Con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma”.

Non vi sono effetti personali; sugli atti dei creditori e dunque al concordato non si applica la revocatoria. Inoltre non è prevista la norma che impone l’insinuazione al passivo poiché lo comunica il debitore al commissario giudiziale con il suo elenco (predisposto per l’ammissibilità del concordato).
Per opporsi al mancato inserimento nel concordato si fa un’azione ordinaria in giudizio dove si dimostra l’esistenza del credito. Nella prima udienza i creditori dovranno votare circa l’adesione o meno al concordato (non vale il silenzio-assenso). Possono in questa udienza essere fatte valere le contestazioni relative ai problemi di classe creditoria (attribuzione ad una classe non gradita). Per discutere sulla natura del credito (privilegiato o chirografari) si deve invece aprire un giudizio ordinario.
I creditori non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione: i creditori privilegiati devono essere soddisfatti integralmente.
Una volta chiusa l’udienza di adunanza dei creditori trascorrono ancora 20 giorni nei quali possono pervenire le dichiarazioni dei creditori non intervenuti o intervenuti all’udienza.
La domanda è sempre la stessa: se non viene approvato il concordato il soggetto fallisce? Dipende cosa si intende per stato di crisi: se comprende l’insolvenza sì altrimenti va dimostrata.

Lezione 13/12/06

Oggi dopo la decisione a maggioranza del comitato dei creditori sull’opportunità del concordato, occorre l’omologazione da parte del giudice del tribunale secondo il rito camerale (prima era quello ordinario). Prima il giudice effettuava un controllo sia di legalità sia di merito (sulla convenienza del concordato rispetto al fallimento, perché in quest’ultimo vi è la revocatoria). Oggi il giudizioo di convenienza spetta solo ai creditori e il tribunale ha solo un controllo di legalità (art. 180) sul concordato e nel merito solamente con riguardo alla fattibilità del piano (forti discussioni in dottrina). Quello appena esposto è una tesi; a questa si oppongono coloro i quali sostengono che il giudice non abbia invece alcun giudizio di merito ma solo un controllo di legalità; un terzo orientamento è intermedio tra i due e sostiene che il giudizio di merito sussiste se sono state proposte opposizione da parte dei creditori; ma in realtà i creditori hanno già deciso ha maggioranza (per la possibilità il concordato preventivo) e i dissenzienti nondevono cagare la uallera; ma se i creditori sono ormai divisi in classi e ci sono state delle classi dissenzienti il tribunale ha il compito di giudicare la convenienza del concordato (art. 177 dove per “altre alternative concretamente praticabili” sono da intendersi fallimento ed esecuzione individuale).
Creap down: ingoiare l’approvazione del concordato nonostante l’opposizione delle classi dissenzienti.

Art. 180
Approvazione del concordato e giudizio di omologazione.

“Il tribunale fissa un'udienza in camera di consiglio per la comparizione del debitore e del commissario giudiziale. Dispone che il provvedimento venga affisso all'albo del tribunale, e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti.
Il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando memoria difensiva contenente le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione dei mezzi istruttori e dei documenti prodotti. Nel medesimo termine il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere.
Il tribunale, nel contraddittorio delle parti, assume anche d'ufficio tutte le informazioni e le prove necessarie, eventualmente delegando uno dei componenti del collegio per l'espletamento dell'istruttoria.
Il tribunale, se la maggioranza di cui al primo comma dell'articolo 177 è raggiunta, approva il concordato con decreto motivato. Quando sono previste diverse classi di creditori, il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui al primo comma dell'articolo 177, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Il decreto è comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori, ed è pubblicato e affisso a norma dell'articolo 17.
Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”.

Art. 177
Maggioranza per l'approvazione del concordato.

“Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima.
Il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui al primo comma, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione. La rinuncia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte dell'intero credito fra capitale ed accessori.
Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono assimilati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato.
Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato”.

Il procedimento si conclude con il passaggio n giudicato del decreto di omologazione e il debitore torna in bonis. Riapre allora la fase di esecuzione del concordato sulla quale veglierà di nuovo il tribunale.
La riforma 2005 ha introdotto qualcosa che nasce dalla premessa che il concordato preventivo si svolge sempre sotto l’autorità di un giudice, il che vuol dire rendere pubblico il proprio dissesto; spesso le crisi si risolvono con un concordato che sta fuori dalle aule del tribunale (concordato stragiudiziale) che è del tutto privato. Se le cose si risolvono non ci sono problemi ma se non vanno in portosi fallisce e le quote già pagate sono recuperate con la revocatoria; oltretutto si va incontro al diritto penale (bancarotta preferenziale). La riforma quindi ha partorito un concordato stragiudiziale (accordo di ristrutturazione dei debiti) che va omologato dal tribunale in caso di fallimento non è poi più soggetto a revocatoria dei pagamenti (art. 182bis)
Art. 182-bis
Accordi di ristrutturazione dei debiti.

“Il debitore può depositare, con la dichiarazione e la documentazione di cui all'articolo 161(come il concordato), un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti (i dissenzienti hanno diritto all’intero), unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
L'accordo è pubblicato nel registro delle imprese; i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione.
Il tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.
Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell'articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
L'accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese”.

N.B. all’art. 166 hanno aggiunto un comma che non evita la pubblicità di questo tipo di accordi.
Chi non è imprenditore commerciale non può fare questo accordo poiché è fatto per evitare la revocatoria e solo l’imprenditore commerciale è soggetto a fallimento e a tutte le sue conseguenze.

Liquidazione coatta Amministrativa
Se si ha un’attività di interesse pubblico o fenerale si accede a questa procedura e non al fallimento. È condotta dall’autorità amministrativa ed è nota dalla fine dell’800. Vi sono imprese che possono beneficiare della LcA, ma sono pure soggette a fallimento (le società cooperative che svolgono attività commerciali; poche).
Il criterio per sapere a che disciplina va sottoposta l’impresa è quello della prevenzione (chi prima arriva vince…).
La LcA può avere anche lo scopo di togliere di mezzo un’impresache non è più conforme all’interesse pubblico.
Se c’è un’impresa astrattamente sottoponibile ad LcA, c’èinsolvenza e i creditori chiedono al tribunale la LcA, questo dichiara la LcA accertatii presupposti; ma può anche essere messa in LcA per altri motivi (come l’irregolarità di gestione); e se poi si evince anche la sua insolvenza, questa si deve dichiarare con sentenza che può essere impugnata in appello.
La messa in LcA è dichiarata dal ministro competente. Il decreto di LcA è emanato dall’autorità amministrativa e contro di esso si può ricorrere al Tar.
È una procedura che ha degli organi: un commissario liquidatore (uguale al curatore del fallimento ma qui può essere formato da tre membri che deliberano a maggioranza e gli atti della procedura vanno firmati da almeno due di loro).



L’impresa in LcA subisce gli effetti degli articoli 42,43,44 e 45 del fallimento (NON il 43).

Art. 42.
Beni del fallito.

“La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento.
Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi.
Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”.

Art. 43 NO
Rapporti processuali.

“Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore.
Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge.
L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo”.

Art. 44
Atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento.

“Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma”.

Art. 45.
Formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento.

“Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori”.

Anche le norme riguardanti gli effetti sull’imprenditore e i contratti pendenti sono presi dal fallimento.
Nella LcA si applica sempre la revocatoria ordinaria qualunque cosa sia successa. Non si applica la revocatoria fallimentare salvo insolvenza.
Con riferimento all’art. 147 riguardante il fallimento del socio illimitatamente responsabile la dottrina, sulla base dei principi generali dell’interpretazione, ne ha esclusa l’applicabilità alla LcA poiché il suddetto articolo è speciale. Nell’accertamento del passivo c’è una prima fase svolta dall’autorità amministrativa (il commissario liquidatore); Se non c’è opposizione agli elenchi fattidal commissario i crediti vengono ammessi d’ufficio; se il creditore non figura negli elenchi deve spedire una raccomandata entro 60gg ma se il creditore vuole fare accertare il suocredito e non figura negli elenchi non può andaredavanti al tribunale poiché è temporaneamente sospesa l’azione individuale sino al deposito della dichiarazione di stato passivo,quando cioè diventa esecutivo. A questo punto si apre una fase giurisdizionale e i creditori possono opporsi facendo domanda al tribunale (rito camerale). Se il creditore non era stato messo in elenco e non ha fatto domanda nei termini puòfare domanda tardiva sempre con ricorso al tribunale.
Alla liquidazione provvede il commissario liquidatore (dopo l’autorità di vigilanza nel caso vendita di immobili in blocco) con una vendita forzata, cioè fatta contro la volontà del debitore e attuata nell’ambito di un procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale. Liquidato l’attivo e ripartito si conclude la procedura con un concordato particolare che fila liscio se i creditori non i oppongono.
Lezione 14/12/06
Amministrazione Straordinaria delle Grandi imprese in stato di Insolvenza: Nasce nella metà degli anni 70 a seguito dello shock petrolifero. Nel 1979 nasce la Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (legge Prodi): la procedura si applica soloalle grandi imprese; è grande l’impresa con tanti dipendenti e tanti debiti quanto lo schema redatto annualmente dal ministero. Le imprese a cui si applica sonon esenti da fallimento. Era una procedura di carattere amministrativo svolgentesi sotto il controllo del ministro dell’0industriache nominava dei commissari che redigevano un piano di risanamento dell’impresa. Non ha quasi mai avuto successo ma gli aiuto di stato della legge prodi sono stati dichiarati illegittimi dall’Ue. Nel momento in cui l’impresa continua a lavorare e il risanamento non arriva i creditori vengono penalizzati poiché aumentano le passività e i nuovi creditori, entrati durante la procedura, devono essere pagati in prededuzione (cartolaio).
A quel punto riconvertiva la procedura in LcA che liquidava l’impresa.
Nel 99 è stata abrogata la legge prodi. La nuova procedura risolve i problemi con la Ce (elimina gli aiuti di stato) e quello dei creditori che si vedevano decurtati dei loro crediti con il passare del tempo: l’idea era quella di perseguire il risanamento nel momento in cui questo ha probabilità di successo (salvaguardia dei creditori poiché quindi si liquida con fallimento se non c’è speranza).
LA situazione di insolvenza era definita dal rapporto di 2/3 di debiti del totale dell’attivo o del fatturato. In attesa della decisione del giudice si ha prima una fase di osservazione: a) la sentenza che dichiara l’insolvenza dell’imprenditore; b) nomina di un commissario giudiziale; c) che redige una relazione entro 30gg e la comunica al giudice. A quel punto il giudice decide.
Il commissario giudiziale e quello straordinario sono indicati dal ministero e il tribunale sceglie solo in caso di ritardo del ministero.
Il programma del commissario straordinario può avere un contenuto di risanamento o liquidazione (cessione dei complessi produttivi). Gli effetti dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza sono diverse.
Nel momento in cui è nominato il commissario giudiziale può accadere che il tribunale affidi l’impresa al commissario (spossessamento pieno come la disciplina del fallimento) o la lasci all’imprenditore con la vigilanza del commissario (spossessamento attenuato come la disciplina del concordato preventivo).
Disciplina della Revocatoria: la legge prodi aveva subito un distinguo dalla giurisprudenza che diceva che se c’è risanamento non c’era bisogno di revocare gli atti se tutti i creditori vengono soddisfatti (l’impresa rimane in mano all’imprenditore e quindi revocando i suoi atti vorrebbe dire porre a carico di terzi errori di gestione dell’imprenditore).
La revocatoria si poteva avere solo quandol’impresa secondo la legge prodi si liquidava. Risanamento no, liquidazione sì era la regola recepita del d.lgs 270/99 data la doppia strada che può prendere il programma del commissario straordinario.
Dicembre 2003: caso Parmalat : Amministrazione Straordinaria delle grandisime imprese in stato di insolvenza. Ritorno alla legge prodi perché per vedere quanto è grande l’impresa si devono avere 2000 miliardi di lire di debiti e 500 dipendenti.
Non c’è una fase preliminare, viene ammessa direttamente all’Amm Str. Con esclusione del fallimento con provvedimento del ministro e successiva dichiarazione di insolvenza da parte del tribunale. Sono stati recentemente modificati i limiti di ingresso: 500dipendenti e 300 milioni di debiti (Volareweb).